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di Rosa Ana De Santis
L’ultima polemica tra la Lega Nord e la Chiesa Cattolica scoppia nella ricorrenza di Sant’Ambrogio. Calderoli, ministro per la semplificazione, vorrebbe ascoltare una strofetta sacra sui milanesi e sull’orgoglio del nord, invece il cardinale Tettamanzi fa il suo mestiere di pastore ecclesiale e dice ai cittadini che non sono gli edifici e il ritmo della vita d’affari a testimoniare la grandezza della città, ma il valore della solidarietà. I milanesi ascoltano un’omelia sulla giustizia sociale e sull’accoglienza e la Lega non ci sta. Questa Chiesa che parla di rom e musulmani, di migranti e di deboli non è nelle corde di un partito esplicitamente xenofobo, secessionista e pagano come la Lega.
Avvenire risponde alle accuse e alle battute leghiste con un editoriale durissimo. Arriva la solidarietà del cardinal Bertone ed è il Presidente della Repubblica Napolitano, non il Pontefice, a ribadire la missione pubblica e la politica sociale come elementi fondanti della pastorale ecclesiastica. Non arrivano invece le scuse dei leghisti. Il governo Berlusconi ha più volte finto di saper ricucire i rapporti con la Chiesa, cavalcando tutte le battaglie bioetiche possibili, usate come ufficiale contropartita, in cambio di una politica sociale lontanissima dalla dottrina sociale della Chiesa. Ma la tensione rimane alta.
Tettamanzi, va detto, non è proprio l’icona della Chiesa progressista. Non è uno di quelli ingaggiato sulle barricate della strada, non è protagonista di un nuovo corso teologico. E’ assolutamente arruolato e integrato nell’organico della Chiesa. Non è “un martire”, lo dice anche lui. La distonia in questo scontro verbale durissimo non è tra i conservatori del cattolicesimo e i progressisti. Il malumore è tutto rivolto al ruolo sociale della Chiesa, allo spirito puro dell’evangelizzazione, al riconoscimento che la Chiesa conserva presso le Istituzioni.
E’ evidente quanto la recente e violenta battaglia per il crocefisso nelle scuole non avesse niente di religioso, niente di autenticamente cristiano. La croce era soltanto il più comodo e il più emotivo degli argomenti popolari per perseguire politiche discriminatorie e assolutamente anti-cristiane. Chissà se la Chiesa avrà il coraggio di non accettare partner tanto anticristiani nella propria catechesi di Stato.
Non desta meraviglia la posizione della Chiesa in materia religioso-sociale. E’ la storia della dottrina a documentarlo. Di anomalo c’è invece la posizione della Lega quando sposa le battaglie cristiane. Basta pensare che la Lega Nord, in virtù delle solenni origini celtiche della Padania, ha riproposto grotteschi riti di iniziazione pagana, tra i quali figurano, guarda caso, proprio le nozze del Ministro Calderoli.
La posizione sociale della Chiesa non è patrimonio di destre o sinistre, non è rivendicabile da politiche, bandiere e umori di governo. E’ il cristianesimo ad avere un messaggio unico e univoco, chiaro e netto. Esattamente come lo Stato del Vaticano ha il suo. La sua ragion di Stato e i suoi affari. Tutta la politica italiana dovrà smetterla, prima o poi, di avocare la benedizione della Chiesa per avere maggiori garanzie di consenso popolare. Ma il legame di contaminazione tra religione di Stato e ragione pubblica nel nostro Paese non è mai stata sciolto, né risolto.
Le scuse ufficiali non sono mai arrivate e i colloqui cordiali con il Ministro Scajola servono a poco rispetto alla grave spaccatura che si consuma tra questo governo e la Chiesa. La rottura non si consuma su un dibattito tra tanti, sulle raffinate questioni individuali, ma sulla grandi e urgenti questioni dell’accoglienza: i suoi numeri, i suoi diritti, l’integrazione e la convivenza pacifica di diverse culture sul nostro territorio. Per rimanere alle sole ragioni politiche viene da chiedersi chi pagherà l’irresponsabilità e l’impreparazione politica di chi è deputato a governare e opera invece per inasprire il conflitto.
Gli stessi che propagandano il Bianco Natale, che impongono i presepi, che chiudono le sale delle preghiere, che minacciano, che puntellano i crocefissi come minacce e le bandiere come armi, ci stanno consegnando un futuro pericoloso, minacciato dall’integralismo e da un’insidiosa instabilità sociale, i cui effetti pagheremo cari.
La spaccatura tra il manipolo delle camicie verde sedute in Parlamento e la Chiesa dice chiaramente due cose: che il governo ha la responsabilità di mettere a tacere questa pericolosa deriva xenofoba almeno per la sicurezza del paese; non dimenticando mai l’orizzonte europeo di giudizio e che la Chiesa non può accettare più il consenso dei leghisti nemmeno quando si tratta di croci e di campanili. Tutto questo in un Paese normale. Un Paese in cui uno di questi non sarebbe diventato mai il Ministro dell’Interno.
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di Giovanni Cecini
Oggi in pochi ricordano come date storiche il 23 agosto 1927, il 3 febbraio 1998 e il 4 marzo 2005. Eppure sono tre ricorrenze che, oggi più di ieri, dovremmo citare tutti, come italiani e come cittadini desiderosi di giustizia. Nella prima di queste date in un penitenziario nei pressi di Boston a due anarchici italiani veniva inflitta la pena di morte tramite sedia elettrica. In quel caso alla giustizia americana poco importò del fatto che le prove a carico degli imputati si erano rivelate lacunose e contraddittorie.
Nella seconda un aereo militare delle Forze Armate statunitensi di base nel nostro Paese tranciò un cavo di una funivia, carica di persone, provocando una strage. Anche in questa circostanza alla giustizia d’oltreoceano non sembrò rilevante che i piloti dell’apparecchio avessero creato il mortale incidente perché intenti a scommettere barili di birra sulle proprie capacità acrobatiche. Nella terza delle date da ricordare, vi è infine racchiuso l’eroismo e la fine tragica di un funzionario italiano intento a liberare una connazionale e freddato senza una logica ragione da un militare di un posto di blocco americano. Pure qui la giustizia yankee non ebbe problemi a giudicare il soldato innocente e chiudere la questione senza un nulla di fatto.
Rammentando questi episodi non possono che tornare quindi alla memoria i nomi degli inconsapevoli protagonisti dei fatti raccontati. Ferdinando Nicola Sacco, Bartolomeo Vanzetti, i 20 morti della strage del Cermis, Nicola Calipari, sono tutte vittime innocenti di nazionalità italiana o europea, che in qualche modo hanno avuto a che fare con delle iniquità tutte targate a stelle e strisce.
Si può quindi ben capire come appaia non solo sgradevole, ma per certi versi anche offensivo che una parte dell’opinione pubblica statunitense - e i media in prima linea - abbia gridato allo scandalo per la condanna in primo grado di una propria connazionale per omicidio. La cosa che rende la faccenda grottesca tuttavia è che quest’alzata di scudi non si è limitata a contestare la sentenza specifica, ma è arrivata a considerare l’intero apparato giudiziario italiano come corrotto e pericoloso.
Senza ombra di dubbio l’Italia oggi non è considerabile il regno degli onesti e dei giusti, né il luogo migliore dove intraprendere un processo; lungaggini burocratiche, cancellerie piccole e allagate, pochi fondi alla magistratura, rendono la vita amara per tutti coloro che hanno a che fare con le maglie dei tribunali nostrani. Tuttavia sembra proprio fuori ogni limite della decenza che alcuni giornali e tv stranieri possano scagliarsi contro uno dei poteri costituzionali del democratico Stato italiano, solo perché una ragazza di Seattle con un visino pulito e da innocente è condannata a 26 anni di reclusione. Fino a prova contraria nella Roma del 2009 un Cesare Battisti verrebbe arrestato all’ergastolo perché condannato per una serie di omicidi, dopo un regolare processo, non certo impiccato, ripetendo quel che successe a Trento nel 1916, dopo una sentenza farsa austroungarica.
Eppure in questa storia una morale si può trovare, se ci si toglie la toga e si imbraccia la bacchetta di Bruno Vespa. Essa s’individua in quel complesso mediatico di perversione che porta alla ribalta della cronaca così urlata, vittime e carnefici, in cui i salotti televisivi divengono palcoscenici per criminologi, psicanalisti, esperti di frizzi e di lazzi e in cui solo il truculento fa notizia. Oggi siamo gli spettatori del fatto che, una volta esaurito il clamore dei “Porta a Porta” di casa nostra, per dare un tocco di brio alla casetta della tranquilla Perugia occorrono i network americani, che in fatto di spettacolarizzazione non sono secondi a nessuno.
E se poi a farne le spese è la giustizia italiana, quotidianamente depredata e offesa da giornali, legislatori, esponenti del governo, saltimbanchi e ballerine, poco importa. Del resto l’avvocato difensore del correo della condannata americana non è pure presidente della commissione Giustizia della Camera dei Deputati? Suvvia, in fin dei conti siamo sempre in Italia, dove i delitti rimangono impuniti e dove “chi ha avuto ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato ha dato; scurdammose 'o passato, simm'e Napule, paisa'!”
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di Rosa Ana De Santis
Al numero 180 di Via Due Ponti, nel seminterrato dove viveva, é stato trovato il corpo carbonizzato di Brenda, il trans brasiliano coinvolto nel caso Marrazzo. A riconoscere quel corpo supino, con il volto girato a sinistra, è un’amica. Nella stanza invasa dal fumo, oltre alla bottiglia di whisky, ci sono le valigie pronte per l’imminente partenza. Brenda voleva andar via. Ritornare in Brasile, fuggire da una situazione di pericolo e d’insidie. I suoi amici la descrivono, nell’ultimo mese, depressa e angosciata. Spaventata. Non era passato molto tempo dall’aggressione che agli inizi di novembre l’aveva portata in ospedale. Gli era stato sottratto il cellulare. Una persecuzione contro il trans che aveva qualcosa da raccontare. Qualcosa che non riguardava più soltanto Marrazzo, ormai sconfitto, umiliato e fuori di scena.
Lo scandalo del sesso che ha travolto l’ex Governatore della Regione Lazio non è chiuso ed è proprio la morte di Brenda a confermarlo. S’ipotizza l’omicidio volontario. Le valigie pronte e le aggressioni subite negli ultimi tempi sono più che il sospetto di una condanna a morte. Brenda era scomoda per quello che sapeva e che taceva. Era stata sentita il 2 novembre scorso dal PM sul quel secondo video hard che la filmava insieme a Marrazzo. Quando scoppia il caso, Natalie e Brenda, le due trans del governatore, si rincorrono nelle reciproche accuse. E’ Natalie la vera protagonista, Brenda si tiene in disparte, ma è proprio Marrazzo a confessare di aver avuto almeno due incontri sessuali con lei.
Brenda, la mora, è una forte dell’ambiente. Affatto sentimentale, è una che gestisce bene gli affari e il suo giro. Natalie alla stampa la descrive così. Conosce bene, guarda caso, proprio Gianguarino Cafasso, il pregiudicato romano, architetto di tutto il ricatto dei video e delle foto che ha coinvolto i carabinieri, questa volta comode “mele marce” per qualcuno, morto a settembre anche lui in circostanze ancora da chiarire. Un’altra coincidenza davvero misteriosa. Il mondo dei viados brasiliani custodisce segreti. Bollenti e pericolosi. Liste “secretate” di nomi che scottano.
La Brenda terrorizzata degli ultimi giorni è una disperata inghiottita in un giro troppo grande, nell’industria del ricatto, in dossier comandati dall’alto. Ben altro e più in alto dei nomi lanciati al gossip dalla collega Natalie che aveva accennato a un esponente di primo piano della destra. A calciatori, a uomini e coppie di spettacolo. Il caso Marrazzo, che davanti al Paese doveva risarcire la dignità ferita del premier dagli scandali delle giovani escort di Palazzo Grazioli, è diventato qualcosa di più. Una minaccia difficile da arginare e da archiviare per tanti nomi illustri. Politica e partiti. Potere intoccabile, potere sacro. Non bastava immergere il suo pc nell’acqua, non bastava spaventare con le aggressioni. A Brenda bisognava impedire di parlare.
Al mistero della morte si unisce la responsabilità di chi non l’ha protetta, soprattutto a fronte degli ultimi episodi violenti che l’avevano riguardata. Una volta tolto di mezzo Marrazzo, Brenda diventava più un pericolo che un testimone da tutelare? Dietro i seni gonfi e pompati di estrogeni, dietro le voci maschili camuffate dai rossetti scarlatti non c’è solo il capriccio e il vezzo di un uomo che compra sesso trasgressivo. Dietro questi corpi plastificati, turgidi e in vendita si è mosso in blocco tutto il potere. In una escalation di mosse e reazioni.
Il governo con Berlusconi che prova a salvare Marrazzo vincolandolo alla sudditanza di un segreto ingombrante, le cliniche di Angelucci da preservare, la stampa dell’impero mediatico del premier che rimpalla le foto di scrivanie in scrivanie, l’Arma dei Carabinieri e le sue mele marce, i pappa e i ricattatori che conoscono clienti e prostitute. Ponti di contatto tra chi compra e chi vende. Servizi segreti e liste di nomi sotto lucchetto.
La scenografia di una morte plateale, che sembra strappata alla trama di un classico romanzo giallo, richiama alla memoria di questo Paese quasi un’uccisione in perfetto stile mafioso che poco sembra coerente con la tesi del gruppetto dei romeni violenti o di qualche spacciatore occasionale. Il mandante va cercato più in alto, lassù. Brenda non scompare, di lei non si perdono le tracce. La sua è stata un’esecuzione per dare un messaggio a tutte. Tacere.
La bionda Natalie dice di non avere idea di come sia morta e di cosa sia accaduto. Dice che a lei importa solo di sé. Insomma ha paura di pronunciare anche solo una parola. Le amiche di Brenda, quelle che battono nelle celle dove abitano, hanno paura. Qualche esponente dell’opposizione chiede che almeno Natalie sia protetta. Chissà cosa pensa Piero Marrazzo. Forse che qualcuno, ben più in alto e ben più protetto di lui, non finirà alla gogna mediatica e non pagherà. Tanto Brenda ormai non parla più.
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di Ilvio Pannullo
Le recenti vicissitudini che hanno coinvolto alcune eminenti personalità pubbliche del nostro paese, come il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e il presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo, hanno offerto alla pubblica opinione la possibilità di intravedere un mondo parallelo, sconosciuto, troppe volte negato, ma, come si è potuto ampiamente comprendere, decisamente presente. Si è appreso, così, che al riparo dalle ingerenze della morale cattolica, in questo paese ancora ossessivamente padrona della pubblica sessualità, coperti dal silenzio e dalla cappa di omertà assicurata dal potere, i nostri politici, e con loro una grande parte della classe dirigente e dell'Italia abbiente, sono soliti eccedere spesso i limiti del lecito e del moralmente accettato.
L’insegnamento che se ne trae riguarda l’incolmabile distanza che separa ciò che è da ciò che appare, in altre parole quanto la nostra realtà sia diversa da come viene rappresentata sugli schermi televisivi e sui sistemi di comunicazione di massa. Quello che s’intravede sullo sfondo di queste storie è un orizzonte valoriale completamente trasformato dall'ideologia del consumismo e dell'individualismo edonista, un orizzonte ben diverso se non addirittura completamente altro rispetto a quello che viene comunemente venduto dalle istituzioni politiche e religiose.
Quello che ci viene consegnato dalla realtà dei fatti, divenuta in questi casi pubblica non certo per una mera casualità, è un mondo segnato non solo e non tanto dall'eccesso e dalla trasgressione, ma soprattutto dall'omertà e dall'incoerenza. A preoccupare, infatti, non sono certamente le abitudini sessuali dei politici, quanto piuttosto la loro attitudine a mentire spudoratamente, oltre alla loro incapacità conclamata di saper leggere i cambiamenti che interessano la società civile: saper comprendere, cioè, l'evoluzione dei costumi ed assumersi la responsabilità di riconoscerli come leciti e legittimi, modificando se necessario l’ordinamento giuridico del paese.
I comportamenti dei governanti sono, infatti, lo specchio di quanto accade nella società, e i gusti censurati sono, in verità, molto più diffusi di quanto non si potrebbe pensare. La distanza tra ciò che si dice e ciò che si fa, e ancor di più, tra ciò che si pensa e ciò che si dice, diventa ogni giorno sempre più importante, quasi incolmabile. Ne esce l’immagine di una Repubblica, quella italiana, fondata sulla menzogna e schiava di una morale anacronistica e deleteria.
Accade, infatti, che nel paese sul cui territorio insistono le istituzioni temporali della Santa Romana Chiesa non sia possibile, per una ragazza ormai priva della propria dignità e di ogni speranza di vita, poter morire dignitosamente; né per una donna abortire senza subire ulteriori traumi fisici oltre agli inevitabili contraccolpi psicologici, causati da una gravidanza non voluta; né vivere la propria sessualità liberamente senza dover temere di essere additato come una pericoloso depravato. Tuttavia, dietro questa falsa cortina di fumo la società civile si evolve, si sviluppa secondo i naturali schemi della modernità occidentale. È sufficiente, infatti, fare due conti e analizzarli con onestà intellettuale, per comprendere quanto l'Italia vera sia distante dall'Italia raccontata.
Nello stivale vivono infatti circa 57 milioni di italiani; se si spuntano dal calcolo gli ultrasessantenni e quanti ancora non hanno raggiunto la maggiore età, quindi circa 26 milioni di persone, rimangono 31 milioni di individui. Bene, di questi almeno il 6%, secondo stime approssimate per difetto, è assiduo frequentatore di siti on-line scambisti. Ogni mese, una buona parte della popolazione sessualmente attiva è infatti solita cercare e curiosare nei siti di annunci: coppie, singole, gruppi, e ancora trans, travestiti, esibizionisti o cuckold (chi ama solo guardare la loro donna fare sesso con altri) si incontrano dopo essersi conosciuti attraverso la rete, coperti dall'anonimato che questa garantisce."Un fenomeno in continua crescita", raccontano Morena e Mamo, gestori di morenasex.net. Loro, nell'ambiente scambista on-line, sono i leader: "Registriamo almeno 2 milioni di utenti unici, oltre 34 milioni di pagine visitate al mese e più di 40.000 inserzionisti".
Cifre che fanno impallidire d'invidia portali molto più celebri ed istituzionali: "Eccome! - spiega Marco Presta, uno dei più affermati direttori creativi del mondo Web, sulle pagine de Il Fatto Quotidiano - solo in pochi possono vantare cifre del genere. Su un argomento poi, come il sesso, che porta inevitabilmente alla fidelizzazione del navigatore". Ora, quale che sia il giudizio di merito circa queste pratiche, su queste nuove attitudini sessuali, quello che è la profonda discrepanza tra la realtà reale e la realtà raccontata. Una discrasia che merita di essere analizzata e risolta.
Il sesso, infatti, più di qualsiasi altro elemento della vita umana, è tuttora considerato nel nostro paese, forse ancora dalla maggioranza dei cittadini, in modo irrazionale. A distanza di secoli si può notare come i principi dell’illuminismo razionalista abbiano incontrato una grande resistenza nel pregiudizio e negli anacronismi derivanti da una morale distorta. La nube più densa, dove ancora il sole della ragione cede all'oscurantismo della tradizione religiosa, avvolge ancora il campo sessuale, e forse la cosa è spiegabile essendo il sesso legato alla sfera più passionale nella vita della maggior parte dell'umanità.
Ora, uno degli elementi che hanno maggiormente favorito il persistere nella popolazione della morale religiosa è la permanenza prolungata in luoghi poco popolosi; un altro elemento favorevole al persistere dell'oscurantismo è la superstizione: chi crede sinceramente che il peccato porti al castigo eterno, cercherà di evitarlo, sebbene ciò sia piuttosto l'eccezione che la regola. Il terzo fattore che vincola al rispetto di una moralità etero-imposta è l'opinione pubblica. In un piccolo centro, ad esempio, dove ogni fatto diviene subito di dominio pubblico, un uomo avrà certamente forti motivi per evitare tutto ciò che le convenzioni sociali condannano.
Ma tutti questi motivi eterogenei di condotta irreprensibile oggi sono molto meno efficaci di un tempo: c'è meno gente che vive isolata, la fede nel fuoco infernale va affievolendosi e in una grande città nessuno è al corrente di ciò che fa il suo vicino. Non ci si deve perciò sorprendere che uomini e donne siano sempre meno propensi ad una rigida monogamia di quanto lo fossero prima della moderna età industriale.
A questo punto del ragionamento si potrebbe obiettare che, se un numero sempre crescente di persone viene meno alla legge morale, questa non è una buona ragione per modificarla. Il peccatore - si dice - almeno capisce e riconosce di aver peccato, e un codice etico non è certo peggiore per il fatto che riesce difficile vivere secondo le sue norme. A queste osservazioni, tuttavia, si può sicuramente rispondere osservando che domandarsi se un codice morale è buono o cattivo, è lo stesso che chiedersi se esso favorisce o no la felicità umana.
Oggi, molte persone adulte, nel loro intimo, credono ancora a tutto ciò che hanno appreso da bambini e si sentono in errore ogni qualvolta la loro condotta risulta non conforme all'insegnamento ricevuto all'oratorio. Come conseguenza di ciò, si genera un pericolosissimo dissidio fra la personalità conoscente e razionale e la personalità inconscia e infantile. Tale dissidio può, nel migliore dei casi, portare a paranoie o ossessioni, nel peggiore, essere alla base di veri e propri disturbi del comportamento o di patologie psichiche, con tutti i danni che questo comporta al singolo e alla comunità in cui questo vive.
Sarà necessario, dunque, prendere atto dei cambiamenti che inevitabilmente l'ambiente genera nel singolo individuo e riparametrare le nostre filosofie, la nostra volontà e la nostra moralità alla luce delle recenti scoperte scientifiche raggiunte in campo sociale. Ancora una volta, dunque, accettare le diversità, negare qualsiasi cittadinanza agli integralismi, comprendere le ragioni e le esigenze dell'altro non potrà non portare ad una società più sincera con se stessa e più onesta nell'analizzare le esigenze innate di ogni essere umano. Comprendere, soprattutto nel caso in cui non si sia d'accordo, significa abbracciare un'idea di un'umanità più tollerante e più rispettosa delle diverse sensibilità. Un'umanità cosciente che la vera forza risiede nella diversità e nella capacità di un corpo collettivo di assicurare l'armonia fra gli opposti punti di vista.
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di Rosa Ana De Santis
E’ passato quasi un mese dalla morte del giovane Stefano. Proseguono le indagini e le notizie sul caso sembrano non uscire dalle prime pagine. Tutto grazie alla pressione dell’opinione pubblica e soprattutto allo sforzo di una famiglia che non molla e mostra una volontà di collaborazione che in cambio non accetta sconti sulle responsabilità. Da un lato tribunali e giudici, gli avvisi di garanzia agli agenti della polizia penitenziaria e l’imminenza dell’incidente probatorio sull’unico testimone. Dall’altro il concorso di responsabilità dei sanitari coinvolti. Ignazio Marino, a capo della commissione d’inchiesta sull'efficacia e l'efficienza del Servizio sanitario nazionale, si è nuovamente recato all’Ospedale Sandro Pertini. Quello che emerge dai giorni di ricovero di Cucchi viene definito dallo stesso Marino “inquietante”. Terminata l’audizione secretata dell’infermiera Olivares Gricelda, infermiera del carcere di 'Regina Coeli, che ha assistito Cucchi, si aprono nuovi scenari e si acquisiscono nuovi elementi per portare avanti l’indagine.
Ma facciamo un passo indietro per ripercorrere i momenti più importanti di questo mese. Potremmo iniziare dalle parole violente e infondate di Giovanardi. Lui fa morire Stefano di anoressia, poi di droga, anche un pò di sieropositività. Tutto pur di non parlare dei fatti e delle foto che internet e tv ci hanno mostrato. Le immagini del corpo e l’entrata in scena del supertestimone costringono il sottosegretario a scusarsi con la famiglia.
Il testimone, che sarà nuovamente ascoltato in corso d’incidente probatorio sabato prossimo dal Gip Fiasconaro, è S.Y., un irregolare africano, arrestato anche lui per detenzione di stupefacenti.
Incontra Stefano nelle celle di sicurezza di Piazzale Clodio, dove sono stati portati entrambi per la convalida dei loro fermi. E’ dalle sue dichiarazioni che partono i tre avvisi di garanzia per omicidio preterintenzionale ai tre agenti di polizia penitenziaria che hanno preso in custodia Cucchi in quei momenti. Il testimone racconta di aver sentito urla, di aver visto Stefano a terra piegato dai ripetuti calci e di aver poi raccolto le sue parole “Mi hanno menato questi stronzi”. Il pestaggio quindi avviene sotto le aule di giustizia per poi forse proseguire anche dopo. Magari nel tragitto verso Regina Coeli, dove Cucchi arriva non più in grado di stare in piedi e con fortissimi dolori, tali da dover esser trasferito per i vari esami diagnostici in ospedale fino al ricovero definitivo.
Il testimone è stato trasferito dal carcere, per non correre rischi, per non essere intimidito o magari per evitare un’altra delle solite cadute dalle scale, simile a quella che ha rotto le ossa del giovane Stefano, ad esempio. L’onorevole Pedica, dell’Italia dei valori, sorveglia e vigila sulle sorti del giovane coraggioso. La battaglia per la verità non si annuncia facile soprattutto se passa sulla pelle nera di un clandestino, spacciatore abituale. Nel frattempo gli agenti, che avrebbero “dato la lezione” a Stefano, sono stati trasferiti in via temporanea, mentre attraverso i loro legali respingono tutte le accuse. Del resto quanto può valere la parola di un detenuto straniero? Non sono valse quelle di famiglie perbene e di esemplari cittadini italiani nei processi alla Polizia.
Uno dei tre indagati dichiara che a Stefano hanno addirittura offerto un caffè e una sigaretta, prima di chiamare il medico quando ha iniziato a star male. Tutto questo prima di affidarlo alla scorta che lo avrebbe portato in carcere. Ma perché Stefano Cucchi inizia a star male, se nessuno gli fa del male? Il cadavere e le diverse foto scattate spiegano tutto quello che viene taciuto. Il legale della famiglia Cucchi, pur non essendo un medico legale, oltre a notare le fratture e i segni di percosse che abbiamo visto tutti, parla di almeno cinque lesioni tipiche da bruciature di sigarette.
Il corpo di Stefano sarà riesumato per gli ulteriori rilievi autoptici ritenuti necessari. Nel frattempo verrà analizzata la macchia di sangue riscontrata sui jeans indossati al momento dell’arresto. La famiglia ha consegnato agli inquirenti la droga ritrovata nell’appartamento di Via Morena (Roma), dove ogni tanto Stefano andava quando non era in famiglia. A dimostrazione che si cerca soltanto la verità sulla morte di Stefano e nessuno slittamento o omertà sulla considerazione di una vita fragile.
Un capitolo a parte è quello delle cure. Le cartelle cliniche che hanno fatto il giro del web riportano dei NO piuttosto controversi, anche sul piano calligrafico, sulle volontà di Stefano. Rimangono le anomalie di quanto è stato negato al paziente. La visita dell’avvocato e dell’operatore di fiducia della comunità CEIS in cui Cucchi combatteva la sua personale sfida alla tossicodipendenza. Rimane il perché di una famiglia tenuta all’oscuro e lasciata a sostare senza notizie fuori le mura del nosocomio. Un trattamento che ha trasformato Stefano in un detenuto senza diritti, e in un malato senza diritto di cura. Rimangono misteriose le terapie somministrate, negate o inefficaci andrà chiarito, spiegate finora dai medici coinvolti con la tesi ridicola del paziente “poco collaborativo.”
Lo strazio di Stefano e della sua famiglia non è ancora concluso. Le indagini incalzano e l’attenzione della gente comune e della politica è forse lo strumento più efficace a disposizione per evitare che Cucchi sia un’altra vittima senza carnefice. Perché non pagare per le proprie colpe equivale a non averne davanti alla legge e alla collettività. Non che questo interessi molto all’Italia del processo breve. Stefano, volendo usare perifrasi verbali, è morto d’ingiustizia, di violenza e di omissioni e questo è accaduto mentre era nelle mani dello Stato.