di Rosa Ana De Santis

Il Tar del Lazio, accogliendo il ricorso di 24 associazioni laiche e religiose, ha stabilito che l’ora di religione cattolica non fa punteggio per i crediti della maturità e che i docenti di religione non possono avere lo stesso titolo di partecipazione degli altri in sede di consiglio di classe o di scrutinio. Una giusta decisione che ha lasciato tutti un po’ stupiti: siamo pur sempre in un paese dove le battaglie della laicità e del pluralismo faticano ad essere metabolizzate nel costume corrente e assumono sempre le sembianze di eventi destabilizzanti e minacciosi per la pubblica morale. Il centro-destra, col solito urlatore Gasparri - che se c'é da dire un'idiozia non si tira indietro - parla di sentenza “discutibile” e di discriminazione nei riguardi dei docenti e degli studenti che scelgono di frequentare l’insegnamento della religione cattolica.

di Rosa Ana De Santis

Via libera dall’AIFA (Agenzia Italiana del farmaco): la pillola abortiva RU486 potrà essere commercializzata negli ospedali ed utilizzata entro la settima settimana di gravidanza. Con ritardo e alla fine di un dibattito ingessato in apologie di fede, finalmente l’Italia si allinea ad altri Paesi Europei. La voce del No tuona dal Vaticano, che minaccia scomuniche per quanti la prescriveranno e quante vi faranno ricorso. Tuona anche dai cattolici seduti in Parlamento, che ufficialmente reclamano maggiori chiarimenti sugli effetti collaterali del farmaco, ma che sotto banco s’indignano per un’accessibilità probabilmente più fluida, meno irta di ostacoli e più ampia al diritto dell’aborto che, allo stato attuale, pur con la sacrosanta legge 194, continua a veicolare - per come viene spesso applicata dalle istituzioni preposte - una subcultura di sospetto e controllo psicologico e corporeo sulle donne che decidono di interrompere la gravidanza.

di Rosa Ana De Santis

Il tempo dei dibattiti infuocati è al tramonto. Silenzio sulle associazioni che lavorano ogni giorno tra gli immigrati. Silenzio sugli ospedali dove i medici non hanno voluto prestarsi a fare i poliziotti. Mute le aule delle scuole, così piene di piccoli immigrati, ormai chiuse per le prossime vacanze. Arriva così, sotto il sole bollente, l’annuncio che il DDL sicurezza ha avuto il SI del Senato. Plaude il governo e il suo capo, affamati di quella sicurezza venduta in pillole di spot tra una propaganda e l’altra. Per l’Italia non è un passaggio come un altro. Si tratta di un vero cambio di rotta, finalmente esplicito e non solo sussurrato. Un manifesto nero di politica e una semina di disvalori da dare in pasto all’opinione pubblica in letargo. Alla vigilia del G8, mentre Ratzinger scrive a Berlusconi ricordandogli l’urgenza dell’etica nella politica dei grandi della Terra, il nostro Paese si chiude in un tempio di cristallo.

di Mariavittoria Orsolato

Quando in Italia succedono tragedie come quella dell’Abruzzo o quest’ultima di Viareggio, la prima cosa da fare, oltre che recarsi immediatamente sul posto (cosa difficile se non impossibile per i comuni mortali), è piangere i morti con lacrime amare e sacrosanto rispetto. Per le polemiche non c’è spazio, non c’è tempo e poi, diciamolo, sono talmente di cattivo gusto da far trasformare un semplice cittadino preoccupato in un pericoloso facinoroso. Lo garantisce Matteo Mastromauro per il Tg5 di Clemente J. Mimun. Ma davanti a stragi come questa, per cui il bilancio provvisorio è ormai di 21 vittime e 28 feriti in gravissime condizioni a causa delle ustioni, è cosa buona e giusta domandarsi se la tragedia poteva essere scongiurata, o perlomeno prevenuta. E pazienza se l’infame lettera scarlatta del disfattismo marchierà a fuoco le seguenti elucubrazioni.

di Rosa Ana De Santis

Loro sono i detenuti, i cittadini invisibili. La loro é una voce scomoda, inopportuna. Quasi un pudore impedisce di parlare delle loro storie, di come vivano la detenzione, di come passino le giornate nelle gabbie dell’allevamento dove l’ossigeno si beve a sorsi di cannuccia . Del resto non è raro vedere le smorfie del fastidio sul viso della gente comune nel sentire di persone per le quali la pena è diventata davvero un’occasione di recupero e una possibilità di reintegro nella società. I colpevoli sono colpevoli. La libido forcaiola perde le staffe quando i numeri e le inchieste raccontano di condizioni di vita disumane, di sovraffollamento, di disagi sanitari, di totale abbandono. Perché la pena ha bisogno di un surplus di cattiveria. Sono 20.000 i detenuti in più rispetto al limite della “tollerabilità”. L’Italia ne conta ormai 63.460. L’Emilia Romagna vanta il record di un sovraffollamento del 193%. Questi sono solo alcuni numeri della matematica preoccupante dei penitenziari italiani.


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