Il tentativo russo di interferire nel sistema GPS del volo della presidente della Commissione europea von der Leyen, diretta domenica in Bulgaria, è l’ennesimo pezzo di propaganda occidentale per demonizzare il governo di Mosca e boicottare i complicati tentativi diplomatici di mettere fine alla guerra in Ucraina. La notizia l’ha diffusa per primo lunedì un giornale in teoria tra i più autorevoli nella galassia “mainstream”, come il Financial Times, proprio per dare credibilità alla storia. Storia che è stata invece smontata rapidamente da fonti e commentatori indipendenti, senza peraltro richiedere particolari competenze o lunghe ricerche. Per i media ufficiali, invece, la versione del quasi attentato russo al vertice della burocrazia UE è rimasta tale, così da garantire alla “notizia” la massima diffusione e contribuire al raggiungimento dell’obiettivo principale della trasferta negli stati europei di “frontiera” della stessa von der Leyen.

Una corte d’appello americana ha confermato nei giorni scorsi l’ovvia sentenza di primo grado, emessa da uno speciale tribunale dedicato alle controversie in materia di commercio estero, sull’incostituzionalità di gran parte dei dazi imposti dal presidente Trump in questi mesi. Anche se il testo del verdetto deciso da una maggioranza di 7 giudici a 4 spiega molto chiaramente le ragioni che rendono illegali i provvedimenti emessi a raffica dall’inquilino della Casa Bianca, l’effetto resterà sospeso almeno fino al 14 ottobre per dare la possibilità all’amministrazione repubblicana di ricorrere alla Corte Suprema. I dazi trumpiani sono dunque incostituzionali, ma resteranno in vigore per i prossimi 45 giorni e, molto probabilmente, anche dopo.

Le sfuriate quotidiane di Trump contro le istituzioni statunitensi e gli avversari politici interni - ai quali assegna premi e castighi in maniera del tutto arbitraria - viaggiano in parallelo con la quotidiana individuazione di un nemico estero verso il quale minacciare sanzioni o guerre. In questo contesto, che serve al tycoon per distrarre gli statunitensi dai suoi scandali di natura sessuale, dal suo insider trading e dai tragici risultati dell’economia, s’inseriscono tanto le provocazioni aperte (come nel caso del Venezuela) quanto alcune decisioni di rottura che, per il loro impatto assumono natura globale. La rottura con l’India di Modi è una di queste e rappresenta uno dei peggiori autogol mai realizzati dagli Stati Uniti.

I governi di Francia, Germania e Regno Unito, come praticamente tutto il resto dell’Europa, non intendono perdere una sola occasione per rimarcare la propria marginalità strategica e l’irrilevanza politica e morale che li contraddistingue nell’approccio alle principali questioni internazionali. Di ciò se ne è avuta puntuale conferma giovedì con l’attivazione, da parte di questi tre paesi, del cosiddetto “snapback”, il meccanismo, previsto dall’accordo sul nucleare iraniano del 2015 (JCPOA), che consente la reintroduzione delle sanzioni multilaterali contro la Repubblica Islamica che lo stesso trattato aveva sospeso per un decennio. La decisione è il frutto della cecità di una classe dirigente europea che cerca disperatamente e senza successo di ritrovare una qualche leva per incidere sulle più importanti dinamiche strategiche globali e, nel caso specifico, rischia di dare il colpo di grazia a un processo diplomatico già sufficientemente complicato.

La clamorosa rottura delle relazioni diplomatiche tra Australia e Iran di questa settimana ha tutto l’aspetto di un’operazione costruita a tavolino tra il governo laburista di Canberra e gli alleati di Stati Uniti e Israele. Se si cercasse infatti una minima prova concreta delle responsabilità iraniane nei fatti che vengono attribuiti ai Guardiani della Rivoluzione o un senso logico che avrebbe motivato questi ultimi nelle loro azioni, si resterebbe fortemente delusi. La messa in scena del primo ministro, Anthony Albanese, per coprire un’operazione dei servizi segreti australiani, in collaborazione con CIA e Mossad, serve in primo luogo a calmare le acque nei rapporti tra il suo governo e il regime genocida di Netanyahu, mentre preannuncia allo stesso tempo una possibile nuova offensiva militare totalmente illegale contro la Repubblica Islamica.


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