di Elena Ferrara

Le olimpiadi cinesi - quelle della XXIX edizione - sono alle porte. La fiaccola - che con grande difficoltà ha superato molti scogli della contestazione organizzata dai monaci tibetani - è sulla via di Pechino dove l'8 agosto alle 8 e 8 minuti (una ricorrenza del numero 8 che, secondo la tradizione cinese, sarebbe di buon auspicio) si svolgerà la cerimonia d’apertura. Ci saranno, nella grande arena dello stadio, diecimila bambini di tutto mondo che saluteranno l’ingresso della fiaccola. In totale 50 minuti di spettacolo che dovranno rappresentare i momenti più importanti dei cinquemila anni di storia cinese evidenziando la mutazione genetica della società. Ma proprio mentre la dirigenza cinese punta a creare un clima di normalizzazione si apprende che è sempre più alto il rischio terrorismo e che accanto allo stadio olimpico spuntano le postazioni di missili terra-aria destinati a difendere l’intera area da possibili incursioni. Una mano in aiuto del governo di Pechino viene dagli americani che mandano sul posto esperti delle loro forze dell’antiterrorismo.

di Bianca Cerri

Negli Stati Uniti il numero dei genitori che lasciano morire i propri figli per non contravvenire alle regole della loro fede continua ad aumentare in modo vertiginoso. Nel decennio tra il 1997 ed il 2007 già 190 minori hanno pagato con la vita per il fanatismo degli adulti. Alla Child HealthCare is a Legal Right, un’associazione che cerca come può di tamponare il triste fenomeno, sono convinti che almeno il 90% avrebbero potuto essere salvati. Il 17 giugno, i quotidiani hanno riportato la notizia dell’ennesima vittima, Neil Beagley, figlio sedicenne di due seguaci della Chiesa cristiano-scientista, una delle venti comunità presenti negli Stati Uniti che prevedono come unico ausilio agli ammalati la preghiera collettiva. In questo modo, malattie facilmente curabili sfociano quasi sempre nella tragedia. Nel mese di marzo, la famiglia Beagley aveva già perso una bambina di 15 mesi. Alla piccola, nata diabetica, non veniva mai somministrata l’insulina di cui aveva bisogno per “non contrastare il volere divino”.

di Marco Montemurro

Nel Bahrain, piccolo stato del Golfo Persico, la nomina del nuovo ambasciatore a Washington non è passata inosservata. Assegnando la carica a Houda Ezra Nonoo, per la prima volta un paese arabo ha scelto una ebrea come proprio rappresentante e, oltre a ciò, per la prima volta nel mondo una donna è stata designata come ambasciatrice negli Stati Uniti. Houda Ezra Nonoo è già nota nella politica del Bahrain poiché dal 2006 è membro della Shura, la Camera alta composta da 40 persone nominate direttamente dal re, ed è presidente dal 2004 dell’organizzazione nazionale per la tutela dei diritti umani “Bahrain Human Rights Watch”. L’attenzione della stampa internazionale è stata così attirata verso il Bahrain, paese che, benché poco noto, ha caratteristiche particolari rispetto al contesto regionale. Il 70% della popolazione è sciita, mentre la monarchia dalla famiglia Al Khalifa è una dinastia sunnita.

di Michele Paris

Nubi minacciose si stanno addensando su numerose testate d’oltreoceano da alcuni mesi a questa parte in seguito alla nuova politica annunciata dal gigante delle telecomunicazioni Tribune Company e dal suo numero uno Sam Zell per far fronte ad un indebitamento che sfiora ormai i 13 miliardi di dollari. Già proprietario dell’autorevole Chicago Tribune, il 66enne magnate delle costruzioni figlio di immigrati ebrei polacchi ha messo le mani recentemente anche sul Los Angeles Times, al cui staff redazionale sta imponendo una serie di preoccupanti misure volte a trasformare il volto del più importante quotidiano della costa occidentale degli Stati Uniti. I provvedimenti adottati prevedono infatti un netto taglio delle pagine dedicate alla politica e agli avvenimenti internazionali per dare maggiore spazio alla cronaca locale e, soprattutto, alle inserzioni pubblicitarie che d’ora in avanti dovranno rappresentare almeno la metà dei contenuti della nuova testata.

di Carlo Benedetti

La “disinformacija” in versione polacca colpisce l’elettricista di Danzica, Lech Walesa e l’accusa è incredibile. Si sostiene che il vecchio leader di Solidarnosc (Premio Nobel per la pace, Presidente della Polonia dal 1990 al 1995) sarebbe stato, negli anni delle dure lotte sindacali nei cantieri di Danzica, un agente al soldo dei servizi segreti del regime comunista di Varsavia. Un provocatore, un doppiogiochista quindi, che avrebbe operato per creare situazioni estreme per mettere in luce, di conseguenza, quegli elementi che più si opponevano al potere di Varsavia scavalcando gli apparati politici. Una tattica, del resto, già sperimentata da un polacco che se ne intendeva: quel Felix Edmundovic Gerginski, l’uomo della Ceka sovietica, il quale per scoprire gli anticomunisti, organizzò una sorta di associazione segreta - “Trust” - che aveva come obiettivo quello di riunire gli antisovietici e i “nemici del popolo” per poi arrestarli e reprimerli in blocco. Vecchi sistemi - con risultati di indubbio valore - che ora riemergono in una Polonia che vuol essere democratica, libera ed aperta. Eppure… Ecco un libro, in Polonia, che si colloca sulla scia di Gerginskij per gettare fango sulla figura di Walesa, collocandolo come un sindacalista a busta paga della famigerata centrale della sicurezza di stato: la “Bezpieczenstwa”.


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