di Carlo Benedetti

Prodi - con un bliz a Mosca per firmare un maxi accordo sul gas - non è il “petroliere rosso” Hammer. E Putin non è Lenin. Cambiano i secoli e la Russia di oggi non è quella degli anni post-rivoluzionari. E le modalità dell’interscambio tra Est ed Ovest non si rifanno al sistema di produzione asiatico. Così il premier italiano raggiunge la capitale russa ostentando il nostro tricolore, ma in realtà sa di essere avvolto dalla bandiera gialla dominata dal cane a sei zampe. Mostra tutta l’ansia di essere uomo abile, desideroso di imprimere una svolta nelle relazioni economiche. Ma il trionfo è dell’Eni che porta a casa un progetto denominato South Strem che sarà una sorta di affare del secolo. Si tratterà di un sistema di gasdotti che dalla Russia meridionale porterà il gas in Bulgaria e in Grecia con diramazioni verso l’Italia, con una potenza di 30 miliardi di metri cubi di gas l’anno.

di Luca Mazzucato

Domenica 11 Novembre una delegazione di negoziatori palestinesi, con a capo Ahmed Qureia, parte da Ramallah alla volta di Gerusalemme, per un meeting di routine con il ministro degli esteri israeliano Livni. Due team diplomatici si incontrano ogni settimana per mettere a punto una generica dichiarazione di intenti tra Olmert e Abu Mazen, da presentare come risultato della programmata conferenza di Annapolis del 26 Novembre. Per evitare che la conferenza si trasformi in un flop mediatico per Condoleezza Rice, le parti in causa devono dimostrare almeno un po' di buona volontà. Come ogni domenica, lungo quei pochi chilometri che separano Ramallah da Gerusalemme Est, Qureia deve attraversare un check point israeliano lungo il muro. Per la maggior parte dei Palestinesi residenti in West Bank non è possibile passare: Gerusalemme Est, occupata nel '67, è di fatto annessa allo stato ebraico. Ad alcuni funzionari di Fatah il governo israeliano concede di passare, si tratta di negoziare la pace dopo tutto. Ma questa volta una brutta sorpresa aspetta Qureia ed il suo team.

di Mazzetta

Una guerra non è una faccenda che si possa pianificare tanto facilmente, ancora meno è qualcosa che si possa analizzare con ottiche economiste. Le ultime guerre occidentali hanno dimostrato ancora una volta la considerazione che Bismark pose a premessa delle sue teorie belliche: di nessuna guerra, si può sapere prima come finirà. Si era capito fin da subito che in Afghanistan sarebbe finita male, ma gli ultimi eventi, tra i quali la morte di Daniele Paladini, caduto ieri in un agguato kamikaze ci dimostrano che potrebbe anche finire peggio. Militarmente semplicissima, la cacciata del governo talebano fu festeggiata con l’assassinio di qualche migliaio di prigionieri, abbandonati a morire chiusi dentro i container. A prendere l’amministrazione del paese fu un ex-dipendente di una compagnia petrolifera americana, alcuni ministeri furono affidati a signorotti feudali, tutti i ministeri furono sottomessi ad un imbarazzante controllo da parte americana e pachistana. Il povero Karzai si è ridotto a piangere in pubblico nel denunciare i danni che il Pakistan infligge al paese “fratello”, ma resta il sindaco di Kabul; una figura onoraria.

di Mazzetta

La notizia più censurata dell’anno è in realtà molto pubblicizzata. Ogni correntista italiano dal mese di giugno in avanti dovrebbe aver ricevuto una “Informativa alla clientela” nella quale la banca di riferimento gli comunica che quasi tutte le sue operazioni bancarie sono spiate da agenzie degli Stati Uniti d’America. Questo accade perché in nome della “guerra al terrore” la Casa Bianca ha costretto il consorzio Swift (il consorzio interbancario che gestisce le transazioni elettroniche) a dare l’accesso ai dati in suo possesso alle numerose agenzie americane(alcune segrete) che si occupano di sicurezza. Gli amanti delle ricerche d’archivio tuttavia non troveranno traccia di polemica sulla stampa italiana. Dal giugno del 2006, quando su “altrenotizie” uscì il primo articolo relativo allo “scandalo SWIFT” ad oggi, ben pochi hanno dato visibilità a questa notizia. Eppure la nostre banche ne sono testimoni: “Il tema è ampiamente dibattuto in Europa presso varie istituzioni in relazione a quanto prevede la normativa europea in tema di protezione dei dati”. Questa frase è nella comunicazione che ogni correntista italiano dovrebbe ormai aver ricevuto, ma cercando sui nostri giornali si vede che solo il Corriere della Sera si è in qualche modo occupato della vicenda, un anno fa. Se ne è occupato male, visto che l’ha raccontata come un problema di privacy degli americani, ma se ne è occupato; molti altri non hanno fatto nemmeno lo sforzo.

di Eugenio Roscini Vitali

L’annuale conferenza di Ginevra sulle armi convenzionali (Cww), che si è tenuta nella città svizzera dal 7 al 13 novembre, si è conclusa senza archiviare sostanziali progressi, specialmente per quanto riguarda la messa al bando delle cluster bombs, le micidiali bombe a grappolo che durante i conflitti vengono utilizzate per interdire interi settori e che hanno lo scopo di infliggendo gravi lesioni senza causare la morte. La commissione continua a sentire il peso politico di Stati Uniti, Russia e Cina, che non si oppongono ad una moratoria ma che in realtà cercano di guadagnare tempo sulla messa in vigore di un trattato internazionale. Il fallimento di Ginevra non influisce comunque sull’attività del “Processo di Oslo”, il comitato fondato per iniziativa della Norvegia che si propone di realizzare entro il 2008 la messa al bando delle cluster bombs. Il “Processo di Oslo”, appoggiato dall’attività delle organizzazioni non governative che si sono riunite nel Cluster Munition Coalition, il comitato fondato sull’esempio della Coalizione per la messa al bando delle mine anti-uomo, porta avanti un progetto autonomo rispetto alla Convenzione di Ginevra sulle armi convenzionali e lavora per la stesura di un trattato internazionale che impedisca la fabbricazione e l’uso di queste armi.


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