di Mariavittoria Orsolato

ASUNCION. In pochi annoverano il Paraguay nelle loro conoscenze geografiche. Ed è quasi impossibile biasimarli. Questo Paese, incassato in un fazzoletto di terra poco generoso tra Bolivia, Brasile e Argentina, ha una storia complicata, fatta di colonizzazioni gesuitiche, devastazioni portoghesi e sanguinose dittature militari. E’ il Paese che più di altri ha ospitato i nazisti in fuga dalla Germania sconfitta ed è la nazione che da 60 anni a questa parte sta vivendo, bloccata in una condizione di povertà estrema, la semi-dittatura del più longevo partito repubblicano dell’America del sud, il Partido Colorado, partito che dal 1954 al 1989 ha sostenuto il cruento regime del generale Alfredo Stroessner. Ma tira aria di cambiamento in Paraguay. Un cambiamento forte e radicale, una svolta a sinistra che pare essere pronta a spazzar via quella che qui ad Asunciòn viene chiamata la democradura e che corrisponde ai 17 anni di transizione che hanno seguito l’era Stroessner.

di Bianca Cerri

Sabato cinque aprile, gli agenti della polizia di Eldorado, in Texas, hanno bloccato le strade della città e dato il via ad una operazione conclusasi con il trasferimento di 182 minori dalla sede della Chiesa dei Santi degli Ultimi Giorni in istituti della zona. Secondo la portavoce dei servizi sociali, anche 133 donne appartenenti alla stessa comunità sono state caricate sui pulmini gialli presi in prestito dalle scuole del circondario e accompagnate in centri di prima accoglienza. In quattro anni, altri 500 minori erano già stati allontanati da sette e congreghe di vario tipo e natura sparse in tutto il Texas. Si tratta di bambini e ragazzi di età compresa tra i sei mesi ed i diciassette anni, attualmente affidati alla custodia dello Stato.

di Eugenio Roscini Vitali

Nel nostro mondo sono tanti i popoli a rischio, comunità religiose, razze indigene, gruppi etnici più o meno conosciuti che rischiano ogni giorno di scomparire, che ogni giorno subiscono crudeltà di ogni genere, prepotenze e maltrattamenti che puntano all’annientamento dei diritti umani e alla morte demografica. Aberranti e sistematiche violenze che si trasformano spesso in genocidio, termine coniato da Raphael Lemkin, nel 1944, che definisce in modo inequivocabile questo agghiacciante fenomeno: azione o piano coordinato che mira alla distruzione, in tutto o in parte, di un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso e che ha come obbiettivo la disintegrazione delle istituzioni politiche, sociali, culturali, linguistiche ed economiche di tale gruppo, che ne cancella il diritto alla fede, alla sicurezza personale, alla libertà, alla salute, alla dignità e in alcuni casi alla vita stessa.

di Carlo Benedetti

MOSCA. Risultati zero tra Putin e Bush che si avviano in quel dorato viale del tramonto che caratterizzerà la fine dei loro mandati presidenziali. I due, per mettere fine alla serie di 27 incontri svoltisi nel passato, si sono concessi - al ritorno dal vertice Nato di Bucarest - una tappa in quello scenario del piccolo Cremlino chiamato “Bociarov Rucei” che - nascosto in un parco di palme e di oleandri in quel di Soci, sul Mar Nero - segna il punto di arrivo quanto a rapporto diretto tra Washington e Mosca. Putin, comunque, non ha voluto perdere l’occasione per mettere nelle valige di Bush una serie di dossier di politica estera e di rapporti segnati da un “niet” a tutto campo. E così si chiude questa lunga parentesi di relazioni che va a segnare una fase di nuova guerra fredda. Pur se tutto si è svolto tra sorrisi e pacche sulle spalle, brindisi ufficiali a colpi di vodka e whisky come avvenne sull’Elba quando sovietici ed americani si abbracciarono. Ma quei tempi sono andati. Oggi c’è solo da festeggiare una nuova guerra fredda che dovrà essere gestita dal successore di Putin - Medvedev, che entrerà in carica il 7 maggio - e da quello di Bush.

di Luca Mazzucato

Keren vive a Gerusalemme nella comunità ebrea ultra-ortodossa. Vuole iscrivere la figlia di sei anni alla scuole religiosa Beit Ya'akov del suo quartiere. Ma purtroppo i piani di Keren per la figlia si scontrano con la pesante discriminazione che regna all'interno della comunità ultra-ortodossa: le prestigiose scuole ashkenazite sono off-limits per gli ebrei sefarditi. A rimetterci è la metà più debole della società ortodossa, ovvero le donne. Gli haredim (ebrei ultra-ortodossi) rappresentano un quinto della popolazione israeliana: è facile riconoscerli dagli abiti bianchi e neri e dal tradizionale cappello nero. Sono una fascia povera della popolazione israeliana: il sessanta per cento degli uomini non lavora, ma si dedica allo studio della Torah, mantenuti dai sussidi statali; circa la metà delle famiglie ultra-ortodosse, di solito molto numerose, vivono al di sotto della soglia di povertà. Come la maggior parte degli israeliani ebrei, gli haredim provengono storicamente da due gruppi etnici diversi. Gli Ashkenazi, di discendenza europea, sono l'elite politica e culturale del paese e i loro leader si ritengono i depositari della vera tradizione ebraica, mentre i Sefardi, immigrati dai paesi nordafricani o mediorientali, sono tipicamente più poveri. Se i rapporti tra le due comunità sono problematici già negli ambienti secolari, all'interno del mondo ultra-ortodosso ci si scontra a volte con una vera e propria segregazione razziale.


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