Diciamolo chiaro e senza perifrasi: a fine legislatura e nella migliore delle ipotesi, si può tranquillamente definire Gian Luca Galletti come il peggior ministro dai tempi in cui fu istituito il Dicastero Ambiente a oggi. Una materia nella quale non hanno certo brillato i suoi predecessori, ma l’arroganza, il pressapochismo, l’asservimento alle lobbie dettati a suon di decreti dal governo Gentiloni, non ha avuto pari e purtroppo, da destra a sinistra con le elezioni alle porte non s’intuisce uno spiraglio per un cambiamento di rotta, in pratica, ciò che si teme per le questioni ambientali, è inscritto in un panorama politico desolante.

Dal 1989, anno del decreto ministeriale sulle barriere architettoniche, preceduto, nel 1968, da quello sugli standard urbanistici, lo scenario socio-demografico dell’Italia è cambiato radicalmente, a causa della crescente longevità dei cittadini. Dal 2013, il Belpaese ha visto raddoppiare la sua popolazione anziana da meno di uno su dieci a più di uno su cinque, che devono fare i conti, oltretutto, con una spiccata urbanizzazione delle cui conseguenze - impatto sulle strutture del welfare, frantumazione delle reti di relazioni sociali e culturali in ambito locale e di vicinato e perdita d’identità dei luoghi - risentiranno a lungo termine.

Quando la raffigurazione della tragedia è inessenziale alla comprensione del fatto di cronaca raccontato e diventa un mero strumento di accrescimento del pathos, siamo sintonizzati sulla televisione del dolore. Quando questo è protagonista incessante delle storie narrate, incorniciate da musiche malinconiche o ipnotiche, stiamo guardando la sua spettacolarizzazione strumentale.

Sebbene con qualche acciacco, il sistema sanitario italiano gode, tutto sommato, di discreta salute. E la diagnosi, riportata nel I° Rapporto sul sistema sanitario italiano, effettuata dall’Enpam e dall’Eurispes, è relativa al suo funzionamento: a parte i disagi conseguenti al mancato turn over, sostanzialmente fermo da sette anni, alla sempre più invasiva precarietà del lavoro a chiamata per periodi anche brevissimi o secondo la logica interinale, e malgrado l’Italia si attesti fra i primi sette paesi europei a ritenersi “insoddisfatti” delle cure mediche ricevute, il sistema sanitario italiano, pur con qualche carenza, non si può certamente dire inadempiente.

Duemilaseicento testimonianze dirette di migranti transitati dalla Libia in Italia non lasciano adito a dubbi: a farla da padrone, violenze sistematiche intenzionali, trattamenti inumani e degradanti.

 

“Siamo stati portati in una prigione a Tripoli, chiamata Zanzoo (Janzur, n.d.r.). Io e mio marito siamo stati portati in parti differenti della prigione. Ci hanno chiesto mille dinari per essere rilasciati (621 euro, n.d.r.), ma noi non ne avevamo. Io ero in una stanza con altre settantadue donne, non c’era spazio per stendersi e io ero sempre seduta sulle mie braccia sotto le gambe. Il cibo era pieno di vermi, ho passato quasi un mese senza mangiare praticamente nulla. C’era solo un bagno per settantacinque persone. Sono stata ripetutamente picchiata, ho anche visto due uomini picchiare una persona fino a ucciderla. Dopo otto mesi, un poliziotto ha liberato mio marito ma lo ha costretto a lavorare per lui in un autolavaggio. Dopo due mesi anche io sono stata rilasciata e ho raggiunto mio marito nell’autolavaggio, fino a quando il poliziotto ha deciso di andarsene a Tunisi a causa degli scontri in Libia e ha organizzato il viaggio in Italia”.


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