Sebbene in sensibile diminuzione - vuoi per i mutamenti del quadro legislativo, vuoi per il diverso ruolo dei media nonché per l’emergere di una nuova coscienza femminile - le donne che hanno subìto molestie o ricatti sessuali sul luogo di lavoro sono ancora troppe. Un milione e quattrocentomila.

 

Tentativi da parte di colleghi o superiori sul posto di lavoro di toccare, accarezzare o baciarle contro la loro volontà hanno coinvolto il 9 per cento circa delle lavoratrici, soprattutto che abitano in città delle aree metropolitane, principalmente del Centro Italia, dove Toscana e Lazio registrano percentuali al di sopra della media italiana, e nel Nord Est, con in testa l’Emilia Romagna.

Sono almeno diecimila le persone escluse dall’accoglienza istituzionale, tra richiedenti e titolari di protezione internazionale e umanitaria, costretti a vivere in condizioni di estrema vulnerabilità. Alle frontiere, negli spazi aperti, negli edifici occupati nelle città, nei ghetti delle aree rurali, sono relegati a una marginalità che li esclude dall’accesso ai beni essenziali e all’assistenza sanitaria.

C’è un liceo classico di Roma, il Visconti, che nell’intenzione di autopromuoversi ha deciso di raccontarsi nel modo peggiore e con le peggiori parole. A cinquant’anni dal 1968 e dalla “scuola di Barbiana”, sarebbe colpevole sottovalutare o  banalizzare quello che è successo in un luogo che è comunque un liceo pubblico.

 

La disputa gira innanzitutto attorno al tema del merito: la qualità dell’insegnamento di un liceo - si dice - deve riconoscere e premiare il merito e, quindi, non possono essere ammessi i poveri, i disabili, gli immigrati (si intende soprattutto neri). Ma che c’entra questo con la didattica? Ci si arrampica sugli specchi per non apparire quello che invece, mostruosamente, si è.  

Parola d’ordine: responsabilità. Che vacilla. Che dai piani alti della società si trasferisce ai singoli cittadini, rendendo difficile la tenuta del sistema, il quale, così, si è separato dal paese. Il Sistema paese, che per anni ha caratterizzato la struttura portante dell’Italia, ormai, secondo il "Rapporto Italia 2018", redatto da Eurispes, è un nucleo di separati in casa che convivono tra reciproci rimproveri.

Mentre l’occupazione regolare si riduce, quella irregolare aumenta, ingrossata dalle file dei lavoratori a ogni costo. E mentre nell’economia regolare vengono annullati quattrocentosessantadue mila posti di lavoro, quella illegale cresce di duecentomila unità. Cosicché tre milioni e trecentomila lavoratori, per sostenere le difficoltà conseguenti alla crisi, hanno accettato, nolenti, condizioni lavorative peggiorative, l’evasione fiscale e contributiva, e il riemergere di fenomeni di sfruttamento del lavoro.

 

Si. Perché le imprese che ricorrono al lavoro sommerso riducono il costo del lavoro di oltre il 50 per cento: il salario medio orario sostenuto per retribuire un lavoratore dipendente in regola è pari a sedici euro, quello elargito a un lavoratore ‘in nero’ corrisponde a otto euro, con una sproporzione che si fa evidente, soprattutto nel settore industriale.

 

Ma è nell’impiego di personale domestico da parte delle famiglie italiane che il lavoro sommerso fa incetta di lavoratori irregolari, con un tasso di irregolarità (sul totale degli occupati) pari al 60 per cento; a seguire, nella graduatoria delle aziende più nere, anche se con tassi più che dimezzati, le attività agricole e quelle del terziario e, rispetto al 2012, sono in crescita i valori relativi a trasporti e magazzinaggio.

 

Però, secondo il presidente di Confcooperative, Maurizio Gardini, “va fatta una distinzione tra i livelli di irregolarità di una badante e quella di un lavoratore sfruttato nei campi o nei cantieri o nel facchinaggio”. Perché “il primo caso, seppur in un contesto di irregolarità fotografa le difficoltà delle famiglie nell’assistere un anziano, un disabile, un minore. Le famiglie evadono per necessità. Negli altri, si tratta di sfruttamento dei lavoratori che nasce solo per moltiplicare i profitti e mettere fuori gioco le tantissime imprese che competono correttamente sul mercato”.

 

Stando ai dati della ricerca Negato, irregolare, sommerso: il lato oscuro del lavoro, realizzata da Censis per Confcooperative, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia sono le regione più sommerse, seguite da Sardegna e Molise. Ma in tutto lo Stivale, la crisi ha allargato le maglie del sommerso, producendo un abbassamento della soglia di continuità, permanenza e stabilità del lavoro e quindi del reddito, e stringendo la sua morsa sulla parte più esposta e meno difesa, ha permesso all’economia irregolare di fare cassa.

 

E, dunque, oltre a mettere fuori mercato le aziende che operano nella legalità, quell’economia mette una grave ipoteca sul futuro dei lavoratori, lasciandoli senza coperture previdenziali, assistenziali e sanitarie. E, oltre ai diritti ai lavoratori, nega anche alle casse dello Stato circa centosette miliardi di euro all’anno. Che il lavoro non sia nero è nell’interesse di tutti.


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