Milano è tornata. Dopo l’estate milionaria del mercato cinese, Inter e Milan iniziano il Campionato con due vittorie convincenti, entrambe per 3-0. I nerazzurri, in casa, travolgono nel primo tempo quel che resta della Fiorentina dopo i saldi estivi. A portare il vessillo è capitan Icardi, che nel giro di un quarto d’ora prima trasforma un rigore, poi insacca di testa con un gran movimento sul primo palo. Nella ripresa Perisic cala il tris. Da segnalare il tributo a Stefano Pioli, ora sulla panchina viola, applaudito da tutto lo stadio al momento della lettura delle formazioni e destinatario di uno striscione della Nord che lo definisce “unico vero interista della scorsa stagione”.

Simone Inzaghi aveva le idee chiare: "Si dice che tutto può succedere - aveva affermato l'allenatore della Lazio in un'intervista alla Repubblica - non sempre si aggiunge che succede solo se gli sfavoriti giocano una grande partita". Così è stato. Dopo aver perso 13 delle ultime 14 sfide contro la Juventus, di cui le ultime 10 consecutive - comprese due delle ultime 3 finali di Coppa Italia e la Supercoppa di due anni fa - dopo aver subito un parziale di 31 gol a 3 ed essere rimasti per ben 746 minuti di fila senza segnare contro i campioni d'Italia, i biancocelesti ce l'hanno fatta. Domenica sera all'Olimpico hanno battuto la Juventus, conquistando la quarta Supercoppa Italiana della loro storia.

Non ce l’ha fatta la Juventus a prendersi la Champions. Troppo forte il Real Madrid, al quale la squadra di Allegri ha opposto solo un buon primo tempo, chiusosi sul risultato di uno a uno grazie ad una prodezza di Manzukic che ha pareggiato il vantaggio spagnolo, manco a dirlo, siglato da Cristiano Ronaldo. Poi però, al rientro dagli spogliatoi, il Real ha tirato fuori il gioco in scioltezza che appartiene alle grandi nei momenti decisivi ed ha sfoderato il talento purissimo, straordinario, del suo fuoriclasse, al momento indiscusso numero uno al mondo della scienza pallonara.

Un saluto non deve essere necessariamente un addio, ma quello di ieri di Francesco Totti al pubblico romanista e di questi al suo idolo assoluto, è stato davvero un addio, il rimando alle stelle di una storia d’amore che non potrà più essere scritta sull’erba. Perché non sarà semplice vederlo dietro una scrivania o a bordo campo e lui stesso, infatti, appare ancora incerto sul cammino da intraprendere. Lo farà solo dopo aver elaborato il lutto di una fine che non avrebbe voluto vedere mai. Totti era il campo e solo il campo. A inventare, a deliziare occhi e a strappare applausi per quel modo spontaneo e strafottente, elegante ma irriverente, di giocare al calcio.

La Roma è seconda e il Napoli terzo, ma l'ultima domenica di questo Campionato sarà ricordata soprattutto come la festa di Francesco Totti. Dopo 25 anni con la stessa maglia, il capitano giallorosso dice addio alla società di cui è diventato uomo-simbolo. Lo fa con le lacrime agli occhi, in una cerimonia carica di emozione, salutato da 70mila persone. Molte di loro sono cresciute vedendolo giocare e non hanno memoria di un calcio senza di lui. Non è ancora chiaro se si tratti di un addio al calcio definitivo, ma il distacco di Totti alla Roma è rimbalzato sui media di tutto il mondo come una storia romantica d’altri tempi.


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