di Sara Michelucci

È l’Italia, dagli anni Sessanta fino ai giorni nostri, la vera protagonista del nuovo film di Giovanni Veronesi, L’Ultima ruota del carro, che vede come protagonisti Elio Germano e Alessandra Mastronardi. Ernesto Marchetti fa il trasfocatore. La sua è una famiglia semplice, d’estrazione popolare. Suo padre gli aveva predetto un futuro da "ultima ruota del carro", ma Ernesto è uno che non si scoraggia. Ha sempre qualcosa da fare, alternando diversi lavori, come cuoco, tappezziere, autista alla comparsa cinematografica.

È un uomo comune, che si barcamena per sbarcare il lunario, mette su famiglia e non ha grandissime pretese. La sua è una vita semplice, e l’unico motivo di vedere un po’ cosa c’è al di fuori delle quattro mura domestiche è quello di girare l’Italia grazie al suo lavoro di traslocatore. Si muove sul suo camion e conosce così le vite degli altri, in un viaggio che dura quasi quarant’anni.

Il suo lavoro lo conduce nelle abitazioni delle persone e  attraverso i suoi occhi conosciamo l’Italia. Passano così, sotto il suo sguardo, speranze e delusioni, scandali e malaffare, burrasche e schiarite, ma Ernesto non andrà mai contro i suoi valori, semplici e buoni, legati alla famiglia, agli amici e all’essere onesti.

Il punto di vista dal basso riesce comunque a non rendere il racconto banale, ma lo innalza, fa scoprire quelle che sono le storture e le cose da migliorare e Veronesi riesce a regalare uno spaccato della società contemporanea meno banale dei film precedenti. Elisa, per la prima volta per un film nazionale, ha composto la colonna sonora.

L’ultima ruota del carro (Italia 2013)
Regia: Giovanni Veronesi
Sceneggiatura: Giovanni Veronesi, Ugo Chiti, Filippo Bologna, Ernesto Fioretti
Attori: Elio Germano, Alessandra Mastronardi, Ricky Memphis, Sergio Rubini, Virginia Raffaele, Alessandro Haber, Francesca Antonelli, Maurizio Battista, Francesca D'Aloja, Luis Molteni, Dalila Di Lazzaro, Ubaldo Pantani, Massimo Wertmüller, Elena Di Cioccio
Fotografia: Fabio Cianchetti
Montaggio: Patrizio Marone
Produzione: Fandango, Warner Bros. Italia
Distribuzione: Warner Bros Pictures Italia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Sara Michelucci

Azione e una dose alta di adrenalina nel nuovo film diretto da Denis Villeneuve, Prisoners, che vede protagonisti Hugh Jackman e Jake Gyllenhaal. È la tranquilla provincia americana, quella dove tutto sembra sereno e perfetto, ad essere nuovamente messa a nudo, scoprendone i numerosi scheletri nell’armadio. Due bambine scompaiono nella periferia di Boston, il giorno del Ringraziamento. Anna Dover e Joy Birch, di sei e sette anni, uscite alla ricerca del fischietto perduto di Anna, non fanno più ritorno a casa.

Il padre di Anna, Keller Dover, uomo umile ma risoluto, appena tornato da una battuta di caccia col figlio più grande, inizia infruttuosamente le ricerche delle due bambine. Le due famiglie si rivolgono alla polizia, senza però riuscire a fornire alcuna traccia utile. Keller inizia un percorso di giustizia personale, parallelo a quello delle forze dell'ordine, tutto incentrato su un uomo. Ne scaturisce una serie di violenze e reciproche vessazioni, dove la prigionia è uno degli elementi centrali.

Ma sono i personaggi stessi, ognuno a proprio modo, ad essere prigionieri di qualcosa. Un nemico invisibile, da combattere, metafora di un’America che fa della paura uno degli elementi fondanti del suo potere. Al centro della storia, anche l’elemento della tortura e dei metodi “poco ortodossi” usati spesso dalle forze dell’ordine, ma fatti propri anche dai privati cittadini. Ci si interroga, così, su cosa voglia di sentirsi sicuri, sull’inseguimento di una verità che è sempre più sfuggente.

Non ci sono eroi in questo film, ma si scardinano quei codici su cui si basa la cinematografia di genere, rappresentando molto di più una metafora della decadenza americana, dove ciò che è giusto e legale si confonde con la sete di vendetta e di giustizia personale, ma anche di una redenzione che si fa sempre più vana e lontana.

Prisoners
Regia : Denis Villeneuve
Sceneggiatura: Aaron Guzikowski
Attori: Hugh Jackman, Jake Gyllenhaal, Paul Dano, Maria Bello, Viola Davis, Terrence Howard, Erin Gerasimovich, Melissa Leo, Jane McNeill
Fotografia: Roger Deakins
Montaggio: Joel Cox, Gary Roach
Produzione: 8:38 Productions, Alcon Entertainment, Madhouse Entertainment
Distribuzione: Warner Bros. Pictures Italia




 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Sara Michelucci

Palma d’oro al Festival di Cannes 2013, La vita di Adele, del franco-tunisino Abdellatif Kechiche, racconta con toni decisamente intensi il tema del passaggio all’età adulta e della scoperta della propria sessualità. Non lascia nulla all’immaginazione il regista di Cous cous, ma va dritto allo stomaco e al cuore, mettendo in scena un amore saffico tra la giovane liceale Adele e l’artista Emma.

Siamo trasportati nella quotidianità di una ragazza come tante, che ama la lettura e aspetta il grande amore. La sua è una vita scandita dagli impegni scolastici, da una famiglia “concreta” e dai primi amori. Adele crede che sia Thomas il ragazzo che le piace, quello con cui prova a stare.

Ma la loro storia non è destinata a durare. Con questo ragazzo non riesce a stare bene veramente, ma non dipende da lui, ma da una sua infelicità che non sa spiegare. Non è appagata fino in fondo, non è se stessa e questo la fa stare male. Fino a quando non incontra una misteriosa ragazza dai capelli blu che entra sempre più nei suoi sogni e più intimi desideri.

Ispirato al romanzo grafico, Il blu è un colore caldo, di Julie Maroh, il film è un’introspezione dentro se stessi, attraverso cui il regista riesce a far venire alla luce i lati più intimi e quelli più repressi, mettendo a nudo il concetto stesso di felicità e appagamento. È un’esplosione di sensi e di eros, quello che Kechiche regala, scegliendo una nuova eroina, dopo la danzatrice del ventre di Cous Cous e la schiava africana di Venera Nera. Attraverso il corpo, vitalistico e giovane, si realizza la volontà del proprio spirito e di quell’Es che scavalca la morale e il pensiero collettivo per appagare la propria soddisfazione.

Adele è l’emblema della giovinezza, ma anche di un periodo dell’amore che fa stare male, che resterà sempre legato alla propria esistenza come qualcosa di formativo e al tempo stesso di dannatamente doloroso. Gli sguardi su cui il regista si sofferma, le carezze, i gesti e le espressioni, rendono molto di più di tante parole.

Con Emma, Adele imparerà cosa vuol dire amare e tradire, piangere e gioire. Emma è una pittrice che si circonda di persone colte, spregiudicata e affascinante, che frequenta locali gay e ama le ostriche. Adele è l’opposto: vuole fare la maestra, mangia spaghetti a quantità ed è piuttosto timida e riservata. Ma con Emma la sua vita si trasformerà completamente e il loro incontro rappresenterà il passaggio definitivo verso una nuova fase della vita. 

La vita di Adele (Francia, Belgio, Spagna 2013)
Regia: Abdellatif Kechiche
Soggetto: Julie Maroh
Sceneggiatura: Abdellatif Kechiche, Ghalia Lacroix
Produttore: Olivier Thery Lapiney, Laurence Clerc
Distribuzione: Lucky Red Distribuzione
Fotografia: Sofian El Fani
Montaggio: Camille Toubkis, Albertine Lastera, Jean-Marie Lengelle, Ghalya Lacroix, Sophie Brunet

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Sara Michelucci

Rocco Papaleo torna a raccontare il suo Sud. A tre anni da Basilicata Coast to Coast, che ha segnato il successo alla regia dell’attore e musicista, il nuovo lavoro, Una piccola impresa meridionale, lancia un’occhiata a quelli che sono i preconcetti e i tabù di una mentalità tipicamente italiana, che fa fatica a pronunciare parole come omosessualità. Il film è ispirato al romanzo omonimo scritto dallo stesso Papaleo e racconta la storia di don Costantino, da lui interpretato, che si è da poco “spretato”, dopo essersi innamorato di una donna che l’ha prontamente lasciato una volta abbandonato l’abito talare.

Costantino torna nel suo piccolo paese del Sud, tra la Basilica e la Puglia (in realtà il film è stato girato in Sardegna, ad Oristano), dopo che la sorella ha lasciato il marito (Riccardo Scamarcio) per scappare non si sa bene dove. Ma quando l’uomo confessa alla madre Stella, donna d‘altri tempi, di non essere più prete, questa lo confina nella casa sul faro, proprietà di famiglia, affinché non si sappia in giro che non è più un sacerdote.

La donna deve infatti già risolvere le grane piantate da sua figlia Rosa Maria (Claudia Potenza) che ha lasciato il marito Arturo ed è fuggita con un misterioso amante. Il vecchio faro in disuso dovrebbe garantire all'ex prete l'isolamento. Ma non è così. Uno dopo l’altro arrivano i personaggi più curiosi e sopra le righe che ci si possa aspettare, trasformando così il posto in un “refugium peccato rum”.

Fanno visita a Costantino l’ex prostituta Magnolia (Barbara Bobulova), il cognato Arturo e infine una stravagante ditta edile, chiamata per riparare il tetto, composta anche da una bambina che imparerà molto più da quella esperienza che non su un qualsiasi banco di scuola. Tutti quanti dovranno fare i conti con il proprio essere, mettendo in discussione i loro valori e la loro educazione e ripensando così il proprio futuro.

Una commedia molto vivace, quella che il regista lucano sceglie di portare sul grande schermo, ma che non ha l’originalità e la profondità del precedente lavoro e forse tende a edulcorare tematiche difficili, utilizzando un po’ troppo facilmente il lieto fine. Il ritratto della diversità che Papaleo vuole dare è sicuramente un ottimo punto di partenza, ma la sua riuscita lascia a desiderare. Ci si aspettavano toni più surreali e una definizione meno netta nei giudizi e nel finale.

Una piccola impresa meridionale (Italia 2013)

REGIA: Rocco Papaleo
SCENEGGIATURA: Rocco Papaleo, Valter Lupo
ATTORI: Riccardo Scamarcio, Rocco Papaleo, Barbora Bobulova, Sarah Felberbaum, Claudia Potenza, Giuliana Lojodice, Giovanni Esposito
FOTOGRAFIA: Fabio Zamarion
MONTAGGIO: Christian Lombardi
PRODUZIONE: Paco Cinematografica e Warner Bros Entertainment Italia
DISTRIBUZIONE: Warner Bros Italia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Sara Michelucci

Daniele Luchetti sceglie ancora una volta una storia dal sapore familiare. Dopo La nostra vita, il regista romano ripropone nel nuovo Anni felici, che vede come protagonisti Kim Rossi Stuart e Micaela Ramazzotti, il racconto di genitori e figli, di amori tormentati e che fanno male e di una lotta con se stessi per poter riemergere da situazioni complicate e sofferte e andare avanti.

Sono gli anni Settanta e Guido e Serena sono innamorati, ma al tempo stesso hanno un rapporto molto tormentato. Guido è uno scultore che vuole affermarsi nel difficile mondo dell’arte d’avanguardia. Il lavoro per lui è al primo posto e non vuole ingerenze da parte della famiglia e di sua moglie in particolare. Per questo le tiene lontana da suo mondo e spesso la tradisce con le modelle che posano nel suo studio, fatto di calchi, polvere e sudore.

Serena lo ama appassionatamente e i due figli si trovano a fare i conti con i continui alti e bassi di una famiglia tutto sommato felice, nella sua instabilità. La voce fuori campo è affidata proprio a Dario, il figlio maggiore, un ragazzino appassionato della cinepresa, che riceverà in regalo dalla nonna materna, e sarà l’occhio attraverso il quale verrà mostrata la fine della storia tra i suoi genitori e la verità dei sentimenti di ciascuno di loro.

In seguito all’ennesimo fallimento artistico di Guido e a un viaggio di evasione in Francia di Serena si giunge ad un momento di rottura. La coppia si separa e Guido è quello che sembra risentirne maggiormente. Ma il raggiungimento, improvviso quanto inaspettato, di un successo artistico, sembra aprirlo verso un periodo di serenità. I due capiranno di non essere fatti per stare insieme, ma non si perderanno mai di vista.

L’artista rimane un po’ sullo sfondo, mentre esce maggiormente fuori la figura dell’uomo e Luchetti sa ben dosare la descrizione dei personaggi con le finalità del racconto. Sullo sfondo rimangono anche i temi politico-sociali, come la rivoluzione sessuale, l’emancipazione della donna e il femminismo che, comunque, servono per creare un sostrato culturale e storico su cui poggiano le singole vicende, a partire dalla relazione amorosa tra Serena e la gallerista tedesca. La scelta, poi, di raccontare le vicende attraverso gli occhi dei figli risulta azzeccata, anche grazie alla bravura degli attori.

Anni Felici (Italia – Francia 2013)

regia: Daniele Luchetti
sceneggiatura: Sandro Petraglia, Stefano Rulli, Daniele Luchetti, Caterina Venturini
attori: Kim Rossi Stuart, Micaela Ramazzotti, Martina Gedeck, Samuel Garofalo, Niccolò Calvagna, Benedetta Buccellato, Pia Engleberth
fotografia: Claudio Collepiccolo
montaggio: Mirco Garrone
musiche: Franco Piersanti
produzione: Cattleya con Rai Cinema
distribuzione: 01 Distribution

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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