di Rosa Ana De Santis

Guardate la foto. Emmanuel Bonsu Foster, 22 anni, è ghanese. La sera del 29 settembre scorso, mentre attendeva l’inizio delle lezioni serali all’ITIS, confuso per un puscher è stato sequestrato, interrogato, malmenato e ingiuriato con le offese più volgari del vocabolario razzista. Un manipolo di vigili urbani ha riservato questo trattamento a un ragazzo che qualcosa di sbagliato aveva fatto. Secondo loro. Tanto per cominciare non era bianco, ma così nero da scatenare l’ilarità e l’oscenità di questi piccoli uomini in divisa. Grandi dietro ai libretti con cui multano gli automobilisti indisciplinati e al fischietto con cui gestiscono il traffico. Quattro dei dieci vigili indagati sono ai domiciliari, gli altri sei rimangono indagati. Sul pc di uno di loro il trofeo che ora appare ovunque. I nomi di quelli che potevano reiterare il reato e inquinare le prove sono: Mirko Cremonini, Ferdinando Villani, Marcello Frattini e Pasquale Fratantuono. E’ giusto ricordarseli uno ad uno, come si conviene a chi colleziona trofei. Soprattutto se di questo tipo.

di Bianca Cerri

Il 5 febbraio del 2008, James Elliott, un marine tornato dalla guerra dopo 15 mesi ininterrotti di missione, uscì di casa armato di tutto punto convinto di andare a combattere. Poiché l’uomo soffriva di una grave forma di depressione, la sua convivente si allarmò e chiamò la polizia. Molte ore dopo, Elliott fu ritrovato mentre imprecava contro i passanti fermo in mezzo alla carreggiata di una strada di grande scorrimento. Con la pistola bene in vista infilata nella cintura e visibilmente provato, ondeggiava costringendo le macchine a frenare per non travolgerlo. Per immobilizzarlo, gli agenti gli spararono una micidiale scarica elettrica da 50.000 volts che per poco non lo uccise e lo trascinarono al comando. Quello stesso giorno, un giudice ordinò il trasferimento in carcere di Elliott e solo tre settimane più tardi l’uomo era divenuto uno dei 940 reduci di guerra usati come cavie umane dalla casa farmaceutica Pifzer, in combutta con il governo americano, per la sperimentazione di un farmaco dagli effetti collaterali imprevedibili.

di mazzetta

Quello che é cominciato è il ventesimo anno dalla caduta del muro di Berlino e per molti versi si presenta come la chiusura di un ciclo ventennale, seguito al termine della Guerra Fredda. Fin da quel 1989 si sentì la mancanza di un nemico: all'improvviso il mostro sovietico non esisteva più e cadeva la possibilità di dirsi migliori per differenza, mettendo i governi di tutto il mondo di fronte a responsabilità nuove, ormai denudati dello schermo costituito dallo stato di necessità imposto dalla divisione del mondo in blocchi. Venti anni dopo possiamo dire che il confronto con queste nuove responsabilità sia fallito su tutta la linea e che il prossimo anno sarà il peggiore dalla fine della seconda guerra mondiale per molti paesi. Caduto il muro ci fu chi parlò di fine della storia e chi dell'avvento di un mondo di pace, progresso e benessere e ben pochi osarono obbiettare, la fine di un lungo incubo non poteva che essere accolta con favore.

di Mario Braconi

La dottrina incomprensibile, retrograda e contraddittoria della chiesa cattolica, viene diffusa sui media con grande tempismo ed impegno mistificatorio; ciò accade anche perché il Paese, immemore della sua importante cultura laica, risulta particolarmente vulnerabile ad infiltrazioni di tipo clericale. Benché in un paese non teocratico la pubblicazione di un simile documento non farebbe alcun titolo di giornale, in Italia la notizia di un documento (“Istruzione”) emanato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede (un tempo detto Sant’Uffizio e ancora prima Santa Inquisizione) è stata ripresa ed approfondita dai media. Ad esporre alla stampa il contenuto della Dignitas Personae il cardinale Javier Lozano Barragan, il quale condanna “ogni soppressione della vita”, assimilando con surreale disinvoltura l’aborto agli assassini per mafia. Il porporato ce l’ha in particolare con la RU486 (pillola abortiva), un farmaco che egli ritiene di catalogare tra quelli che “non sono tanto innocenti per la salute delle donne che li assumono”.

di Rosa Ana De Santis

Craig Ewert, 59 anni, malato di sclerosi laterale amiotrofica, finisce i suoi ultimi istanti di vita ripreso da una telecamera. Fissa sul suo viso a seguire la scena mentre beve con una cannuccia potenti barbiturici e strappa con i denti il polmone artificiale. Succede così che nel piccolo schermo basta trovare il canale giusto e nel palinsesto dei programmi ci viene riservato uno spazio per il racconto di una morte in diretta. Consumata a freddo, confezionata con un titolo, drammatizzata nei contorni di un film. Trasmette Sky. La programmazione di quanto accaduto nel settembre 2006 coincide con la sentenza britannica del “non luogo a procedere” per i genitori di Daniel James, paralizzato e aiutato a morire nella stessa clinica svizzera. Si potrebberoo rintracciare, nelle motivazioni di una scelta così forte, una sorta di volontà formativa, di educazione civica ad approcci all’esistenza umana che appaiono terribilmente sul confine, controversi nella drammaticità di ogni ragionamento morale che voglia indagarli nel profondo.


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