di Valentina Laviola

“La gente dice che dovremmo integrarci, ma io sono nato a Wexford, sono irlandese e musulmano, questo non è un problema d’immigrati”. È Liam Egan a parlare, nativo della Repubblica d’Irlanda, appunto, e convertitosi all’Islam all’età di 28 anni. Nell’ultimo anno la sua famiglia è stata protagonista dei media locali, da quando Shekinah, 14 anni, la maggiore delle sue figlie, ha chiesto di indossare l’hijab a scuola. Permesso accordato, purchè fosse in tinta con l’uniforme; il preside, però, ha riportato la questione al dipartimento dell’Istruzione, affinché si provvedesse ad una politica ufficiale in merito, valida per tutte le scuole del Paese. Così, la faccenda si è allargata fino a divenire una controversia nazionale. Il signor Egan lamenta che l’atteggiamento verso la questione dell’hijab testimoni il modo in cui le minoranze sono trattate in Irlanda. In particolare, sostiene che diverse scuole si siano mosse per impedire il velo: un istituto di Dublino ha sostenuto che altrimenti sarebbe stata violata l’etica cattolica del Paese. Quest’ultima spiegazione, secondo Egan, non è altro che un pretesto, dal momento che le donne cattoliche si sono coperte il capo per entrare in chiesa fino a 20 anni fa.

di Elena Ferrara


Questa volta scendono in piazza per chiedere solidarietà e per affermare il loro diritto all’esistenza. Stanchi ed esasperati per le ripetute aggressioni contro le loro famiglie e forti dell’appoggio ricevuto dal recente congresso mondiale svoltosi a Frisinga, in Germania, giocano la carta della manifestazione di massa. Sanno di essere 36 milioni sparsi in Europa, nelle Americhe e nell’Asia. E sanno, appunto, che nel vecchio continente arrivano già a 12 milioni. Ora presentano il conto. Sono gli zingari che tra pochi giorni - e precisamente il 20 settembre - si ritroveranno a Budapest dove il presidente del “Consiglio nazionale tzigano” - l’ungherese Orban Kolompar - ha invitato i rom magiari a protestare contro la Guardia ungherese che è l’organizzazione paramilitare estremista e razzista che si sta sempre più distinguendo con aggressioni contro gli zingari.

di Mario Braconi

Governo e Procura di Roma si muovono congiuntamente contro blasfemi e sporcaccioni: si conferma l’impressione che l’Italia sia preda di un clima in cui il moralismo più retrivo convive con una demenza scatenata. Un membro dell’esecutivo Berlusconi e i Pm di Roma, per una volta, sono d’accordo: i cittadini immorali inclini al sesso mercenario e alla blasfemia vanno puniti, possibilmente con la galera. Ma andiamo con ordine. La sala conferenze di Palazzo Chigi, con la sua miscela di kitsch, mercantile arroganza e pruderie piccolo borghese, costituisce il palcoscenico più consono possibile per le surreali dichiarazioni che il ministro Carfagna ha reso alla stampa lo scorso 10 settembre. Come noto, infatti, la riproduzione de “La Verità rivelata dal Tempo” del Tiepolo, che in modo involontariamente ironico è stata utilizzata per decorare lo sfondo del palco da cui parlano i ministri, mostra tra le altre figure una procace donna seminuda, cui uno zelante collaboratore di Berlusconi ha fatto coprire seno ed ombelico con un panneggio posticcio; interrogato in merito, l’apparatchick si è detto preoccupato che l’esposizione di un capezzolo “potesse urtare la suscettibilità di qualche telespettatore” (non “cittadino”, si badi, ma “telespettatore” ha detto). Ipocrisia e perbenismo dunque, che sono anche i “principi” informatori del disegno di legge “contro la prostituzione”.

di Giovanni Cecini

Un tempo, quando la televisione in Italia muoveva i primi passi, li chiamavano sceneggiati. Erano basati su racconti letterari, su eroi dei romanzi storici, su investigatori con pesanti pastrani e con il sigaro in bocca. Tutto rigorosamente in bianco nero, in ambientazioni con mobili rococò, drappi e merletti. Dopo solo tre decenni la concorrenza televisiva e l’importazione dall’estero di formati e di costose produzioni ha reso l’offerta dei palinsesti sempre più varia, nell’intento di soddisfare un pubblico apparentemente attento e sofisticato. Ma sarà proprio così? Passati gli anni Ottanta, dove la facevano da padroni telefilm e telenovele dai nomi esotici o accattivanti, siamo sbarcati nei Novanta con la nascita di veri e propri canali “tematici” al fianco dell’ormai foresta pietrificata di quelli “generalisti”.

di Mario Braconi

Fino a poco fa il lancio dell’iPhone in Italia, con le code interminabili davanti ai negozi, ha costituito materiale di studio per psicologi e sociologi. La chiave di lettura economica si rivela infatti inefficace a spiegare il comportamento di migliaia di Italiani, per il resto del tutto normali, che si autoinfliggono attese da socialismo reale al fine di pagare poco meno di seicento euro un prodotto che, a parte il design accattivante, non offre niente di più di un normale telefonino evoluto: foto, video, e-mail, navigazione internet, musica, mappe satellitari e, sì, anche fare e ricevere telefonare (chip difettosi permettendo). E pensare che, secondo Isuppli, il costo industriale di iPhone non arriva a 175 dollari americani (ai cambi attuali, meno di 120 euro). Anche supponendo che Apple venda il dispositivo agli operatori italiani al doppio del suo costo, Telecom Italia e Vodafone lo stanno offrendo ai propri clienti con un ricarico di quasi due volte e mezzo.


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