di Rosa Ana De Santis

Basta andare una mattina come tante fuori dalle scuole di una qualunque città. Il rumore e il chiasso di sempre, mano nella mano delle proprie mamme o di qualche papà. Sono tanti quelli stranieri. I più numerosi. Eppure cattura ancora l’attenzione e sorprende un po’ vedere piccoli visi scuri, occhi esotici, toni e accenti dell’est. E’ questa la foto dei nostri figli e delle loro scuole. Succede ormai che un bambino italiano conosca, ad esempio, le abitudini e le regole di vita di un compagno di scuola musulmano. Le sue preghiere, il cibo, la descrizione della sua casa e della sua vita familiare. Succede che torni a casa con un vocabolo di lingua straniera imparato per gioco al mattino in classe. Succede ormai che andare a scuola offra la possibilità di conoscere pezzetti nuovi di mondo, un nuovo modo di pensare il gruppo, dove la differenza anche quando si trasforma in difficoltà ha un valore educativo irrinunciabile. Se solo qualcuno ci insegna a riconoscerlo. Nel mondo civile é così, in quello leghista invece non é previsto.

di Valentina Laviola

Circa una settimana fa è apparso sul Corriere della Sera un articolo dal titolo trionfale “Vivisezione, l’Europa salva le scimmie”, nel quale si elogiava l’intenzione della Direzione ambiente della Commissione Europea di rivedere la legge del 1986 in materia di sperimentazione animale, ritenuta ormai obsoleta ed inadeguata. È probabile, infatti, che ci saranno alcune interessanti novità che guidino verso un uso sempre minore, o quantomeno più mirato ed attento, delle cavie nei laboratori. Dal 2009 saranno vietati in tutta Europa esperimenti su animali per la produzione di cosmetici; il Belgio, addirittura, li impedirà per qualsiasi genere di prodotto, sigarette comprese. Per quanto riguarda gli animali randagi e da compagnia (cani e gatti) si dice che saranno esclusi, ma in Italia è già così. L’attuale legge 116/92 pone regole precise: vieta l’utilizzo di animali randagi o tanto meno prelevati dal loro ambiente naturale. I laboratori usano esclusivamente animali provenienti da appositi allevamenti, che ne garantiscono oltretutto le condizioni di salute.

di Rosa Ana De Santis

Davanti a Dio come bambini davanti alla madre. Cosi Ratzinger cita Giovanni Paolo I nel ricordarne la vita, le opere e la morte. Nel ricordare il breve pontificato di Luciani, Ratzinger sfoggia la perla teologica. Lui che di tutte le correnti all’interno della Chiesa ne è stato il più rigido oppositore sin dai tempi in cui era Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Una frase di rara bellezza e di tagliente avanguardia, se solo si abbandona la poesia e si entra negli spazi del pensiero che la sostiene. Quello che al nostro papa non interessa fare fino in fondo. L’importante è che rimanga la tenerezza di un verso dolce e poetico e che alcuno provi a indagarne le ragioni concettuali. E’ il 10 settembre del 1978 quando Papa Luciani dice “Dio è papà, più ancora è madre”. Riprendendo un passo delle Sacre Scritture - sia dell’Antico Testamento che del Vangelo - lancia questa luce di novità sul torpore teologico della vecchia curia. La reazione è di gelo e di imbarazzo.

di Mariavittoria Orsolato

Troviamo un nuovo indice puntato nella folta schiera di chi indica il Governo delle libertà come uno dei maggiori problemi (se non il maggiore dei problemi) della nostra italietta d’avanspettacolo. Non è quello dei soliti comunisti bastian-contrari, né quello degli europeisti che si domandano ancora a quale titolo lo stivale sia parte dell’Unione Europea. La voce dissidente stavolta proviene dall’Oltretevere romano e con sé porta tutta la solennità all’incenso e la gravità da pulpito tipica del monito della Santa Sede. Ma non è la solita predica sulla sacralità della famiglia. Lo scorso mercoledì il segretario del Pontificio Consiglio dei migranti, l’arcivescovo Agostino Marchetto, ha esposto ai microfoni di Radio Vaticana le sue perplessità sull’operato del Governo Berlusconi in merito ad immigrazione e diritti civili.

di Rosa Ana De Santis

Roma si è svegliata sugli striscioni della vergogna, apparsi poco distanti dal Verano, nel cuore della città. Parole di disprezzo e razzismo sulle vittime di Castelvolturno, sulla morte del giovane Abdul. Teste rasate e giubbotti di pelle, una ventina di ragazzi così conciati è quello che riferisce un testimone. Dobbiamo pensare ai soliti violenti di estrema destra, agli irriducibili skinheads, al solito gruppo di cani sciolti giovanissimi e figli della noia sociale. In ogni categoria, sul filo di ogni disquisizione nominalistica sono comunque tutti figli dell’Italia, miseria della patria. Parole pesanti anche su Schifani, per l’occasione ebreo, ma bastano le parole di Verdini a nome di tutta Forza Italia a esprimere fraterna solidarietà per il Presidente del Senato. Non serve una parola di più. Perché tutta la rabbia è contro quest’orda di barbari, tutta l’emozione e ogni pensiero va per queste vittime. Un ragazzo morto sotto i bastoni impietosi di due mercanti milanesi, e a Castelvolturno sei giovani uccisi sotto i colpi della gomorra campana.


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