di Maura Cossutta

Finalmente le Linee guida sulla legge 40 sono state emanate. E’ infatti stato pubblicato ieri, in Gazzetta Ufficiale, il testo del decreto ministeriale che cancella le precedenti Linee guida. Un sollievo, arrivato all’ultimo momento e perciò ancora più gradito. Una buona notizia, dopo le disfatte degli ultimi giorni, che offre un po’ di dignità e anche di orgoglio a tutti quelli che non si arrendono. Ovviamente le dichiarazioni dei vincitori sono furibonde, minacciose, arroganti. “Le abrogheremo subito” proclamano, ma non sarà poi così facile cancellare in un soffio (nonostante la schiacciante maggioranza numerica parlamentare) queste Linee guida. Perché il percorso è stato formalmente molto rigoroso, non solo del tutto rispettoso della legge ma anche e soprattutto delle disposizioni contenute in numerose sentenze di Tribunali, da ultimo quella del TAR del Lazio. E perché, poi, sul decreto emanato si sono espressi, come previsto dalla legge, sia l’Istituto Superiore di Sanità sia, per ben due volte, il Consiglio Superiore di Sanità, che, come è noto, sono organismi non solo autorevoli ma anche molto gelosi della loro autonomia.

di Valentina Laviola

L’Italia è cambiata in fretta. Negli ultimi venticinque anni l’Islam è diventata la seconda religione del paese, con circa cinquantamila convertiti e oltre un milione di musulmani immigrati, in gran parte di prima generazione e di età media intorno ai trent’anni. Questi ultimi, è importante ricordare, appartengono ad etnie diverse, hanno culture diverse e provengono da storie differenti. I principali paesi d’origine sono l’Albania, il Nord-Africa (la comunità marocchina è la più numerosa, costituisce circa il 30% del totale), il Senegal, il Bangladesh e il Pakistan. Questi pochi dati sono sufficienti per capire che è la molteplicità a caratterizzare il panorama musulmano odierno in Italia. Ciò rappresenta un ostacolo importante nella comunicazione e cooperazione con le istituzioni italiane che difficilmente si trovano di fronte un interlocutore unico e compatto.

di Cinzia Frassi

Non è sufficiente attribuire un nome diverso alle cose per cambiarne la natura. Così, non è determinante identificare un lavoratore dipendente come “autonomo” quando egli non è effettivamente tale. Dieci anni ci sono voluti per arrivare ad una pronuncia della Cassazione sul caso dei lavoratori di un call center. Viene da chiedersi cosa avranno fatto nel frattempo, per ben dieci anni, le 27 centraliniste "autonome". La società Solidea sas di Padova operava nel settore pubblicitario ed aveva un call center nel quale lavoravano un certo numero di centraliniste, la maggior parte donne con mansioni di telefonista o segretaria. Nel lontano '98, con ricorso depositato il 10.03.1998, la società Solidea sas conviene in giudizio l'Inps davanti al Tribunale di Padova al fine di accertare la natura autonoma del rapporto di lavoro instaurato con 27 dipendenti "autonomi". L'Inps sosteneva la natura subordinata del rapporto di lavoro e conseguentemente chiedeva la condanna della società al pagamento di 524.345.553 delle vecchie lire per il mancato versamento dei contributi.

di Rosa Ana De Santis

Le pagine della finanza internazionale raccontano di un mercato imprevedibile, imbavagliato da un ritmo ossessivo e fuori controllo che dagli USA all’Europa trascina le piazze degli affari in una perdita di oltre due punti e mezzo percentuali di tutti gli indici. Che sia il paventato crollo della finanza virtuale o dell’economia globale lo decreteranno i professionisti delle borse, ma che la discesa libera costellata di frecce e grafici in rosso sia un monito che va oltre la matematica dei profitti e delle perdite lo dice la storia della globalizzazione, diventata nell’abisso di un silenzio omertoso e tutto occidentale, la storia della tolleranza alla povertà; ovvero la storia della cattiva tolleranza. E ora che il sospetto entra in casa, ora che il sistema “perfetto” vacilla sempre più spesso, ripensare le categorie del nostro mercato e del pensiero forte che lo giustifica diventa necessario e sempre più doloroso. Forse il vincitore non vince più.

di Valentina Laviola

Squad Sbai si candida nel PdL. La signora – per chi non lo sapesse – è una donna marocchina che vive da trent’anni ormai nel nostro paese, che presiede l’Associazione delle comunità marocchine in Italia ed è anche membro della Consulta per l’Islam. A chi le fa schiettamente notare che si sta “mischiando” con i padri della legge Bossi-Fini, la signora, che dice di riconoscersi in una tradizione politica socialista, risponde: “Nessuno scandalo, io a destra sto benissimo”. D’altronde, ha ragione, perché “essere di destra” dovrebbe inficiare il valore delle sue battaglie? Forse sarà utile ricordare che nella passata legislatura la stessa Sbai e la sua associazione avevano scelto di sostenere la Lista Di Pietro; in una dichiarazione della stessa candidata si spiega il perché di questa inversione: “Al momento di formare le nuove liste elettorali abbiamo ricevuto molte visite sollecite, da parte di sigle diverse, ma nessuna di sinistra”. Che l’indifferenza della sinistra abbia colpito ancora?


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