di Mariavittoria Orsolato

Nove milioni di clienti al mese, l’80% dei quali sposati. Questo il giro d’affari che il mestiere più antico del mondo frutta a papponi e criminali nell’Italia della sacra famiglia. La legge 75 altresì chiamata legge Merlin, quella nel 1958 impose la chiusura delle case di case di tolleranza e decretò l’illegalità della prostituzione, ha compiuto mezzo secolo ma rimane imperterrita nell’agenda politica del dibattito pubblico. Riaprire o no le case chiuse? Un annoso problema su cui le Camere si sono interrogate già otto volte dall’inizio della sedicesima legislatura e che sembra dividere l’opinione pubblica quasi quanto le formazioni europee di Donadoni.

di Rosa Ana De Santis

Sotto le onde del Mediterraneo affonda l’ennesimo barcone disperato, carico di vite e di stracci, di sogni e deboli pensieri di speranza. Muoiono sotto i fondali, in un silenzio d’abisso, nero petrolio, le vite di tanti poveri. Qualche disperato si aggrappa alle gabbie di tonni, tanti bambini rimangono dispersi tra le onde e di loro non sentiremo nemmeno una lacrima, non il più esile dei pianti. Qualche giovane più forte sarà portato al centro di accoglienza di Lampedusa che collassa sotto il crescente numero di sbarchi. E’ continuo il movimento delle motovedette, si susseguono senza tregua gli avvistamenti, è instancabile il lavoro dei soccorsi. Gli immigrati arrivano, non si arresta questa processione di speranza e disperazione. Nessuno ferma la diaspora della povertà.

di Mario Braconi

“Il precetto d'amore di Cristo è per noi, sempre, norma di vita, nell'ordinario e nello straordinario. (…) Le inadeguate, presuntuose o falsificate interpretazioni ci dispiacciono. (…) ma l'amarezza non fa che aumentare la solidarietà affettuosa per chi è in sofferenza”. Con queste parole, arroganti e sussiegose, la Curia Vescovile di Viterbo ha creduto di rispondere all’indignazione generale causata dall’exploit del suo vescovo, Lorenzo Chiarinelli, che ha rifiutato di sposare una coppia di giovani, uno dei quali è costretto su una sedia a rotelle dagli esiti di un grave incidente. Secondo Chiarinelli, la possibile “impotentia coeundi” del ragazzo costituisce ragione sufficiente per impedire le nozze religiose. Si dirà: nonostante Ratzinger, in Italia non è obbligatorio essere cattolici, per cui tanto peggio per chi in questa chiesa ancora crede. Eppure vale la pena riflettere sul significato di quanto è accaduto a Viterbo, se non altro perché è paradigma della tracotanza con la quale il clero cattolico persegue il progetto di crocifiggere le donne e gli uomini italiani alle sue “verità” autoreferenziali.

di Rosa Ana De Santis

Se un corpo è tormentato senza speranza, se i pensieri svaniscono nella veglia acquosa di un addio lento e sofferente, se scivola intorpidito, irrimediabile e senza controllo ogni istante di consapevolezza, allora si può decidere di andare via per sempre affidando il proprio destino ad un ultimo libero atto di volontà. Lo chiamano testamento biologico. E questo è stato il caso, solo l’ultimo dopo tanti, della donna ammalata di SLA che senza alcuna possibilità di guarigione ha potuto sottrarsi all’inutile accanimento terapeutico che l’avrebbe attesa avvalendosi della legge Cendon che, grazie alla figura dell’amministratore di sostegno, ha consentito a suo marito, dopo un sollecito decreto del giudice, di poter rispettare la sua volontà di morire. Così, rifiutando la tracheotomia e la ventilazione forzata, un uomo ha cura di sua moglie, accoglie il suo testamento, e staccando l’ultimo sterile filo con una vita ormai comunque perduta, impedisce che la vana attesa del miracolo diventi la fine di una storia che comunque si spegne piano, derubata di dignità, mentre la comunità delle coscienze si compiace del proprio buon cuore.

di Mariavittoria Orsolato

L’ultima martire della famiglia, quella che già in molti avevano ribattezzato “la ragazza del lago”, e che i sommozzatori hanno ripescato senza vita domenica mattina a Marone, si chiamava Agnese Schiopetti. Era una giovane mamma ed è stata strangolata e poi buttata nelle acque del lago d’Iseo proprio dal padre del suo bimbo, l’uomo con cui aveva deciso di condividere le gioie e i dolori della sua precaria vita da cameriera. La confessione del marito, un cuoco ventottenne originario di Brescia, va ad aggiungere mestamente l’ennesima tacca alla lunga lista delle vittime di violenza domestica, violenza che per le donne tra i 16 e i 44 anni è - a livello globale - la prima causa di morte: più del cancro, più degli incidenti stradali e della guerra. La morte di Agnese è fin troppo simile a quella di Marianna Manduca, di Barbara Cicioni, di Maria Rosa Nugnes: tutte donne uccise dai propri compagni, tutte tradite da quel modo assoluto e totalizzante di amare che ne ha distorto la percezione dei segnali di pericolo.


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