di Giovanna Pavani

Di certo l'anno appena trascorso è stato un anno di sangue. Come pochi dell’ultimo decennio. Per mesi e mesi, quasi senza soluzione di continuità, gli italiani sono stati ipnotizzati da gialli e delitti, da crimini efferati che dalle pagine dei giornali sono rimpallati dentro la televisione, enfatizzandone i particolari e rendendo sempre più difficile trovare una ragione per spiegare che cosa stesse davvero succedendo. Il 2007 passerà alla ormai labile storia dei mutamenti sociali come un anno stregato dalla cronaca nera. Solo un anno fa qualcuno (ancora pochi, a dire il vero) si appassionava cercare di capire se davvero Anna Maria Franzoni avesse ucciso o no suo figlio Samuele a Cogne. Poi è arrivata Erba, quindi Garlasco e poi Perugia, passando per l’omicidio Reggiani a Roma e l’ultimo, orrendo, di Iole Tassitani a Venezia. Una scia di sangue che, salvo rare eccezioni, ha un comune denominatore inquietante: l’impunità degli assassini. Se a Erba non ci fosse stato un sopravvissuto, se una donna rumena non avesse fatto il nome dell’assassino della Reggiani e se per Iole Tassitani non ci fosse stato un testimone “quasi” oculare del rapimento, anche questi delitti sarebbero rimasti senza autore.

di Elena Ferrara

E’ bene tenerlo a mente proprio ora, quando siamo davanti a tavole imbandite, tradizionali quanto familiari: altro che capponi e tacchino, tortelli e panettoni, é lo “slot food” che ha cambiato la nostra vita. Dal caffé alla pizza sono infatti 17 milioni gli italiani che si mettono in fila davanti agli 800mila distributori automatici in ogni parte del paese. E sono in pochi a chiedersi se esista una relazione tra la qualità del cibo, i luoghi di consumo e gli orari in cui è consumato. Risulta così sempre più evidente (lo spiegano i dietologi più affermati) che la sovrabbondanza alimentare e dei punti di ristoro si scontra con le leggi fisiologiche che regolano i ritmi cronobiologici e che determinano l'appetibilità e la digeribilità dei cibi. Alimentazione, quindi, come scienza e come arena di intervento per la sociologia. Vediamo le statistiche che evidenziano come il mercato dei consumi alimentari extradomestici sia salito oltre i 58 miliardi di euro (in crescita del 2,6% rispetto al 2004, quando furono spesi 56.686 miliardi). Nel dettaglio, crescono del 2,5% i consumi nei ristoranti e pizzerie (31.270 miliardi), del 2,5% nei bar (20.065 mld.) e del 3% nelle mense (6.334 mld.). La previsione è che il trend di crescita porti questi consumi a quota 65.281 mld. a fine anno, ovvero il 12,2% in piú rispetto al 2005. Crescono in maniera piú contenuta i consumi alimentari domestici. In prospettiva e globalmente, secondo alcune previsioni più “ottimistiche” nel 2008 avremo speso 183,4 miliardi di euro, pari al 6,4% in piú di quello che spendiamo per alimentarci in casa e fuori casa. La quota in merito raggiungerà pertanto il 36% del totale rispetto al 34% odierno.

di Fabrizio Casari

Avrete certamente passato un buon Natale. Avrete mangiato più del necessario, bevuto molto più dell’opportuno e, in compagnia delle persone alle quali volete bene, vi sarete scambiati abbracci e baci, in un tintinnìo di calici che svuotavano rapidamente le bottiglie di champagne accampate per l’occasione in ogni dove delle vostre case. Avrete celebrato la nascita di Gesù, palestinese, di cui si ricordano i miracoli e la croce, ma non la cacciata dei mercanti dal tempio; di cui si ricorda l’amore universale me non quello per Maria Maddalena. Proprio pensando a Gesù, tra una fetta di panettone ed un calice, alcuni di voi avranno gioito nel ritrovare le radici della religiosità. Insomma sarete satolli, soddisfatti, a pancia piena e coscienza pulita. Speranzosi in un nuovo anno che sperate migliore di quello che sta finendo o, in alcuni casi, almeno bello tanto quello trascorso. Tutto bene, dunque. O no? Forse non è il momento adatto per parlarne o forse sì. Perché, scusate se lo si ricorda, ma qualcosa, tra le tante che appena disturbano, ci sarebbe. Ha il volto e lo sguardo di quelle centinaia di migliaia di immigrati che non hanno avuto ogni ben di dio sulla tavola e, forse, nemmeno le molliche che vi cadevano. Che hanno brindato a lacrime invece che a champagne e che i loro cari, se va bene, avranno potuto sentirli al telefono, rapidamente; o, cosa più probabile, li avranno sentiti solo nel cuore, gonfio di tristezza e carico di paura. Sono quelle donne e quegli uomini che partono persone e arrivano numeri. Che diventano quote, perché solo quelli di cui abbiamo bisogno possono sperare nella nostra cristiana accoglienza.

di Sara Nicoli

Roma, l'altro giorno, ha avuto l'occasione di risvegliarsi più laica, tollerante, moderna e libera. Nel solco della sua storia millenaria, il governo della Capitale aveva l'occasione di mostrare al mondo – e anche al resto del Paese – che quando si parla di diritti e di lotta alle discriminazioni, di solidarietà e rispetto per gli altri da sé non era seconda a nessuno. E che, soprattutto, era capace di far valere, attraverso una legge cittadina, quel valore della laicità della Stato che tanto stenta a trovare cittadinanza all'interno dei confini nazionali. Invece, ancora una volta, l'ombra lunga e inquietante del Vaticano ha avuto la meglio. Così, a Roma non ci sarà nessun registro delle unioni civili. Non è passato nulla in consiglio comunale, né la linea dura della sinistra, che sosteneva due delibere per l'istituzione del registro, né quella soft del Pd, che sollecitava il Parlamento a legiferare sul tema delle unioni civili, riconoscendo la non competenza dei comuni a deliberare in materia. Con l'opposizione compatta verso il no, nessuna delle mozioni ha ottenuto la maggioranza. Un'occasione persa. Senza che, per altro, la sinistra abbia tentato di vendere cara la pelle; tutti i tentativi di mediazione sono andati in fumo e, alla fine, la lunga discussione che ha impegnato per un giorno intero i consiglieri comunali si è chiusa con un nulla di fatto. Tutti a casa, come se nulla fosse mai successo.

di Camilla Modica

Ormai, di quanto accade sui treni italiani in pochi si stupiscono. Chiunque, che sia studente, lavoratore pendolare o semplice vacanziere, è in grado di raccontare una quantità infinita di aneddoti e disservizi. Da pulci e zecche all’inconfondibile tanfo dei bagni, da condizionatori e riscaldamenti non funzionanti a carrozze stipate di gente fin dalla stazione di partenza. Tutto questo senza neanche stare a perdere tempo per ribadire di vagoni sporchi, sedili pieni di macchie, inevitabili ritardi, coincidenze perse e via dicendo. A parlarne, ormai, sembra quasi di sparare sulla Croce rossa, non fa più notizia. A meno che non si verifichino incidenti, la cui colpa è inevitabilmente attribuita all’“errore umano”. Questa volta però, per l’assurdo viaggio subito sabato scorso da 450 persone, non c’è alcun errore umano a cui appellarsi. C’è, in compenso, un piano di rinnovamento delle reti e dei mezzi che continua ad essere rinviato perché i soldi non ci sono, dicono i dirigenti della Rfi (Rete ferroviaria italiana), la società a cui spetta gestione e manutenzione delle infrastrutture.


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