di Cinzia Frassi

Non è sufficiente attribuire un nome diverso alle cose per cambiarne la natura. Così, non è determinante identificare un lavoratore dipendente come “autonomo” quando egli non è effettivamente tale. Dieci anni ci sono voluti per arrivare ad una pronuncia della Cassazione sul caso dei lavoratori di un call center. Viene da chiedersi cosa avranno fatto nel frattempo, per ben dieci anni, le 27 centraliniste "autonome". La società Solidea sas di Padova operava nel settore pubblicitario ed aveva un call center nel quale lavoravano un certo numero di centraliniste, la maggior parte donne con mansioni di telefonista o segretaria. Nel lontano '98, con ricorso depositato il 10.03.1998, la società Solidea sas conviene in giudizio l'Inps davanti al Tribunale di Padova al fine di accertare la natura autonoma del rapporto di lavoro instaurato con 27 dipendenti "autonomi". L'Inps sosteneva la natura subordinata del rapporto di lavoro e conseguentemente chiedeva la condanna della società al pagamento di 524.345.553 delle vecchie lire per il mancato versamento dei contributi.

di Rosa Ana De Santis

Le pagine della finanza internazionale raccontano di un mercato imprevedibile, imbavagliato da un ritmo ossessivo e fuori controllo che dagli USA all’Europa trascina le piazze degli affari in una perdita di oltre due punti e mezzo percentuali di tutti gli indici. Che sia il paventato crollo della finanza virtuale o dell’economia globale lo decreteranno i professionisti delle borse, ma che la discesa libera costellata di frecce e grafici in rosso sia un monito che va oltre la matematica dei profitti e delle perdite lo dice la storia della globalizzazione, diventata nell’abisso di un silenzio omertoso e tutto occidentale, la storia della tolleranza alla povertà; ovvero la storia della cattiva tolleranza. E ora che il sospetto entra in casa, ora che il sistema “perfetto” vacilla sempre più spesso, ripensare le categorie del nostro mercato e del pensiero forte che lo giustifica diventa necessario e sempre più doloroso. Forse il vincitore non vince più.

di Valentina Laviola

Squad Sbai si candida nel PdL. La signora – per chi non lo sapesse – è una donna marocchina che vive da trent’anni ormai nel nostro paese, che presiede l’Associazione delle comunità marocchine in Italia ed è anche membro della Consulta per l’Islam. A chi le fa schiettamente notare che si sta “mischiando” con i padri della legge Bossi-Fini, la signora, che dice di riconoscersi in una tradizione politica socialista, risponde: “Nessuno scandalo, io a destra sto benissimo”. D’altronde, ha ragione, perché “essere di destra” dovrebbe inficiare il valore delle sue battaglie? Forse sarà utile ricordare che nella passata legislatura la stessa Sbai e la sua associazione avevano scelto di sostenere la Lista Di Pietro; in una dichiarazione della stessa candidata si spiega il perché di questa inversione: “Al momento di formare le nuove liste elettorali abbiamo ricevuto molte visite sollecite, da parte di sigle diverse, ma nessuna di sinistra”. Che l’indifferenza della sinistra abbia colpito ancora?

di Valentina Laviola

La “bocciatura” dell’Europarlamento riguardo ai Centri di permanenza temporanea italiani richiama l’attenzione sul tema immigrazione e s’inserisce nella campagna elettorale in corso. A pioggia arrivano dichiarazioni e promesse, spesso seguite da battibecchi interni alle coalizioni, perché gestire la questione immigrati è notoriamente una patata bollente per tutti. È così che Silvio Berlusconi, leader del Pdl, si ritrova a prendere l’impegno davanti al movimento “I nuovi italiani”, partito di immigrati, di assicurare col suo - eventuale - nuovo governo il voto amministrativo ai cittadini stranieri. Le reazioni dure degli alleati della Lega giungono immediate ad escludere, de facto, qualsiasi chance di reale attuazione, dal momento che il progetto, per altro ridicolo ai loro occhi di far votare dei “non italiani”, non è contemplato dal programma di governo da loro sottoscritto.

di Bianca Cerri


Erano esattamente le sei e un minuto del 4 aprile 1968 quando uno sparo, che rimbombò come un tuono nelle stanze dell’hotel Lorraine di Memphis, mise fine alla vita di Martin Luther King, premio Nobel 1963 e sicuramente il più famoso attivista della lotta per i diritti civili dei neri d’America. I primi ad accorrere furono gli amici Ralph Abernathy e Jesse Jackson, arrivati poche ore prima con lui dalla Georgia. Caricato in fretta su un ‘ambulanza, il leader nero morirà un’ora dopo al Nashville Hospital di Memphis. Alla notizia della fine di King, nei ghetti di centodieci città americane la rabbia dei neri esplose e, negli scontri con la polizia che ne seguirono, 43 persone persero la vita e quasi 5000 rimasero ferite.


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