di Fabrizio Casari

Avrete certamente passato un buon Natale. Avrete mangiato più del necessario, bevuto molto più dell’opportuno e, in compagnia delle persone alle quali volete bene, vi sarete scambiati abbracci e baci, in un tintinnìo di calici che svuotavano rapidamente le bottiglie di champagne accampate per l’occasione in ogni dove delle vostre case. Avrete celebrato la nascita di Gesù, palestinese, di cui si ricordano i miracoli e la croce, ma non la cacciata dei mercanti dal tempio; di cui si ricorda l’amore universale me non quello per Maria Maddalena. Proprio pensando a Gesù, tra una fetta di panettone ed un calice, alcuni di voi avranno gioito nel ritrovare le radici della religiosità. Insomma sarete satolli, soddisfatti, a pancia piena e coscienza pulita. Speranzosi in un nuovo anno che sperate migliore di quello che sta finendo o, in alcuni casi, almeno bello tanto quello trascorso. Tutto bene, dunque. O no? Forse non è il momento adatto per parlarne o forse sì. Perché, scusate se lo si ricorda, ma qualcosa, tra le tante che appena disturbano, ci sarebbe. Ha il volto e lo sguardo di quelle centinaia di migliaia di immigrati che non hanno avuto ogni ben di dio sulla tavola e, forse, nemmeno le molliche che vi cadevano. Che hanno brindato a lacrime invece che a champagne e che i loro cari, se va bene, avranno potuto sentirli al telefono, rapidamente; o, cosa più probabile, li avranno sentiti solo nel cuore, gonfio di tristezza e carico di paura. Sono quelle donne e quegli uomini che partono persone e arrivano numeri. Che diventano quote, perché solo quelli di cui abbiamo bisogno possono sperare nella nostra cristiana accoglienza.

di Sara Nicoli

Roma, l'altro giorno, ha avuto l'occasione di risvegliarsi più laica, tollerante, moderna e libera. Nel solco della sua storia millenaria, il governo della Capitale aveva l'occasione di mostrare al mondo – e anche al resto del Paese – che quando si parla di diritti e di lotta alle discriminazioni, di solidarietà e rispetto per gli altri da sé non era seconda a nessuno. E che, soprattutto, era capace di far valere, attraverso una legge cittadina, quel valore della laicità della Stato che tanto stenta a trovare cittadinanza all'interno dei confini nazionali. Invece, ancora una volta, l'ombra lunga e inquietante del Vaticano ha avuto la meglio. Così, a Roma non ci sarà nessun registro delle unioni civili. Non è passato nulla in consiglio comunale, né la linea dura della sinistra, che sosteneva due delibere per l'istituzione del registro, né quella soft del Pd, che sollecitava il Parlamento a legiferare sul tema delle unioni civili, riconoscendo la non competenza dei comuni a deliberare in materia. Con l'opposizione compatta verso il no, nessuna delle mozioni ha ottenuto la maggioranza. Un'occasione persa. Senza che, per altro, la sinistra abbia tentato di vendere cara la pelle; tutti i tentativi di mediazione sono andati in fumo e, alla fine, la lunga discussione che ha impegnato per un giorno intero i consiglieri comunali si è chiusa con un nulla di fatto. Tutti a casa, come se nulla fosse mai successo.

di Camilla Modica

Ormai, di quanto accade sui treni italiani in pochi si stupiscono. Chiunque, che sia studente, lavoratore pendolare o semplice vacanziere, è in grado di raccontare una quantità infinita di aneddoti e disservizi. Da pulci e zecche all’inconfondibile tanfo dei bagni, da condizionatori e riscaldamenti non funzionanti a carrozze stipate di gente fin dalla stazione di partenza. Tutto questo senza neanche stare a perdere tempo per ribadire di vagoni sporchi, sedili pieni di macchie, inevitabili ritardi, coincidenze perse e via dicendo. A parlarne, ormai, sembra quasi di sparare sulla Croce rossa, non fa più notizia. A meno che non si verifichino incidenti, la cui colpa è inevitabilmente attribuita all’“errore umano”. Questa volta però, per l’assurdo viaggio subito sabato scorso da 450 persone, non c’è alcun errore umano a cui appellarsi. C’è, in compenso, un piano di rinnovamento delle reti e dei mezzi che continua ad essere rinviato perché i soldi non ci sono, dicono i dirigenti della Rfi (Rete ferroviaria italiana), la società a cui spetta gestione e manutenzione delle infrastrutture.

di Cinzia Frassi


"Censurare la satira -in nome del cattivo gusto o di altri principi volatili e capziosi - è censurare le opinioni. E' fascismo." Così scrive nel suo blog Daniele Luttazzi l’indomani dell’ennesima censura. Sembrava una stagione ormai lontana quella dell'editto bulgaro che cacciò il comico dalla Rai nel 2002 e che mise la parola fine al programma pungente Satyricon. Era il periodo nero della libertà di informazione e di satira che ha fatto vittime illustri come Enzo Biagi, anche se oggi chi gettò il sasso nasconde la mano. Oggi ci risiamo e, dopo la chiusura del programma, Luttazzi sposta il set all’Ambra Jovinelli di Roma. Forse lì è la presenza del sipario a garantire uno spazio libero di rappresentazione satirica della realtà che ci circonda. Il risultato oggi è che il comico continuerà in teatro il suo lavoro e una denuncia dello stesso per ottenere il sequestro probatorio di quanto girato sotto la voce Decameron, che sia andato in onda oppure no.

di Sara Nicoli

Lavoravano 16 ore al giorno e chi si rifiutava perdeva il posto. Avevano accettato tutti di fare turni massacranti anche se sapevano che la Thyssen Krupp di Torino avrebbe comunque chiuso i battenti entro il prossimo settembre 2008. E quel reparto che è saltato per aria l’altro giorno, la linea 5 delle ex Ferriere che dopo sembrava una città bombardata dal napalm, avrebbe mandato a casa tutti entro la fine di febbraio. Il fuoco di giovedì notte si è portato via l’elite della laminazione a freddo, anche se poi i forni sono a mille gradi e passa e qualcuno si mette pure a fare i distinguo sul se si possa definire o meno un lavoro usurante. Se ne sono andati in quattro, per ora, ma non si sa come finirà davvero. Erano figure preziose di operai specializzati che l’azienda aveva sottoposto a maxi straordinari perché in ritardo su una commessa e non voleva pagare la penale. Il tutto sotto la minaccia di non rinnovare i contratti a Terni, dove gran parte della forza lavoro si sposterà dopo settembre. Perché la chiusura della Thyssen di Torino ha salvato quella di Terni, dove ci lavorano in 3 mila e 500 e quando si deve far di conto su chi mandare a casa le cifre contano; meglio i 400 di Torino che mettere i due terzi di una città umbra in cassa integrazione.


Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy