di Agnese Licata

Almeno una volta l’anno c’è qualche istituto di ricerche sociali che ricorda quante famiglie, in Italia, una delle sette nazioni più industrializzate del mondo, vivano in condizioni di povertà. Una povertà che colpisce non soltanto chi un lavoro non riesce a trovarlo o chi ha una pensione troppo bassa per sopportare un’inflazione che non risparmia neanche i beni di prima necessità. Povere sono, sempre di più, anche le classi medio-basse: operai e dipendenti con stipendi a volte talmente bassi da potersi permettere solo un dormitorio pubblico. Vittime non solo di un potere d’acquisto che si riduce progressivamente, ma anche di un sistema di garanzie sociali che nessun partito politico ha la forza – e forse la volontà – di ripensare. E poi ci sono i giovani. Accusati di essere mammoni, di non fare figli, di non voler lasciare la casa dei genitori perché allergici alle responsabilità e che, invece, troppo spesso sono costretti a far ritorno sotto il tetto della famiglia d’origine a causa di lavori precari, a chiamata, a cottimo.

di Alessandro Iacuelli

Il rapporto del Censis intitolato "Il controllo delle reti telematiche" non da luogo a equivoci: l'Italia è sempre più on-line e l'italiano è la quarta lingua più diffusa su internet per numero di pagine, dopo cinese, inglese e spagnolo. Nonostante questo, l'Italia non riesce ad essere innovativa sul fronte delle tecnologie informatiche legate alla rete. A differenza di altri Paesi, infatti, dove anche piccoli prodotti vengono assorbiti dalle grandi aziende, in Italia "gli oligopoli si sono trasformati in un rigido sistema oligarchico, incapace di creare innovazione", si legge nel rapporto. Secondo l’autore della ricerca, Gianni Dominici, a questo va sommata la lentezza della burocrazia, la mancanza di investimenti e il ruolo poco chiaro dello Stato. "Non è sufficiente – dichiara Dominaci - essere un popolo di inventori se non ci sono finanziatori e intermediari". Gli italiani, stando ai dati presentati nel rapporto, "amano spendere per gadget tecnologici, ma è raro trovare che uno di questi prodotti sia firmato made in Italy. Si tratta di un Paese-consumatore più che di produttori e innovatori."

di Alessandro Iacuelli


La Corte di giustizia europea ha condannato l'Italia per l'inceneritore di Brescia, gestito dalla municipalizzata ASM. La causa è il mancato eseguimento della Valutazione d'Impatto Ambientale (VIA) prima dell'attivazione nel dicembre 2003 della cosiddetta "terza linea". La VIA è stata realizzata sì, ma solo retroattivamente nel 2004, quindi con l'impianto già realizzato e funzionante e solo dopo l'intervento della Commissione europea. Condanna anche per la mancata pubblicazione della comunicazione di inizio attività della stessa terza linea. I giudici hanno ribadito che i cittadini devono essere sempre informati in merito alle domande di nuove autorizzazioni per gli inceneritori "al fine di consentire al pubblico di esprimere le proprie osservazioni prima della decisione dell'autorità competente", si legge nel testo della sentenza. I giudici europei quindi sottolineano che non sono state rispettate le normative comunitarie per non aver sottoposto alla valutazione d'impatto ambientale il progetto di terza linea e, per la prima volta, per non aver permesso all'opinione pubblica di esprimere le proprie osservazioni. Un precedente importante, per il futuro, in tutti quei luoghi ove le scelte che condizionano il futuro di una comunità vengono prese senza che i cittadini vengano interpellati.

di Alessandro Iacuelli

Gli illeciti ambientali nel settore dei rifiuti tossico-nocivi sbarcano di prepotenza, in tutta la loro drammaticità, anche in Emilia Romagna. Ad entrare in azione è stata stavolta la Procura della Repubblica presso il tribunale di Bologna, con 5 ordinanze di custodia cautelare, 11 decreti di sequestro per altrettante società e 15 decreti di perquisizione. In totale sono 47 le persone coinvolte nell'inchiesta condotta dal pm bolognese Antonio Guastapane. Duecento i carabinieri impegnati fra Emilia Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Lombardia e Toscana. L'operazione, denominata "Pseudocompost", ha portato alla luce un giro d'affari di otto milioni di euro. L'indagine è partita da alcuni accertamenti sulla Sineco, società di smaltimento di rifiuti industriali, anche tossici, con sede a Castenaso, alle porte di Bologna. Ad avviare l'attività illecita sarebbe stato il titolare che, anziché smaltire regolarmente le scorie, con costi elevati, le avrebbe destinate illegalmente ad attività di recupero, molto meno onerose e con sorprendenti nuovi guadagni: ai costi di messa in sicurezza dei rifiuti smaltiti, ha sostituito gli introiti dovuti alla vendita di quegli stessi rifiuti come fertilizzanti. I rifiuti sarebbero così finiti in altri impianti di compostaggio, fra Castel S.Pietro, sempre a Bologna, e le province di Ferrara e Pavia.

di Sara Nicoli

Parità, dignità, laicità. Principi che qualunque Stato democratico dovrebbe dare per scontati. Ma in Italia no. In Italia si vacilla. Tant’è che ieri si sono ritrovati in piazza migliaia di coloratissimi gay, lesbiche, omosessuali, ma anche tantissimi giovani e meno giovani, uomini e donne idealmente uniti in una battaglia di civiltà, quella per la laicità dello Stato. Se si è arrivati al punto di delegare alle piazze, variamente orientate, la difesa di un principio fondante della democrazia, se si è arrivati al momento in cui la difesa dei diritti degli omosessuali è diventata una battaglia di tutti. Perché il loro isolamento politico corrisponde a quello di tutti gli altri cittadini, allora si può ritenere di aver superato la soglia del dibattito politico e di essere sprofondati in una vera e propria emergenza democratica. Conta assai poco, anzi appare quasi ridicola, la partecipazione alla battaglia della laicità innestata nel “Gay Pride” di alcuni ministri di questo traballante esecutivo. Imbarazzante sentire le dichiarazioni contro l’ingerenza clericale nella legislazione dello stato laico da parte di chi dovrebbe essere il primo difensore dei principi democratici senza pavidità ed esitazioni, puntualmente rispolverate in Parlamento in nome di equilibrismi politici che se ne infischiano bellamente delle necessità reali dei cittadini, prima su tutte l’uguaglianza dei diritti.


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