di Agnese Licata


1.041 nati in meno; più nascite premature e parti trigemellari; aumento delle donne costrette a rinunciare a uno dei feto per permettere agli altri di svilupparsi e vivere; incremento del “turismo sanitario”. Sono questi i risultati che la legge 40, la legge sulla procreazione assistita, ha brillantemente ottenuto da quando, il 19 febbraio 2004, è stata approvata dal Parlamento italiano. Diciotto contestatissimi articoli pensati e scritti dal centrodestra, ma votati da una maggioranza trasversale (al Senato il 62 per cento degli esponenti della Margherita votò in modo favorevole). Fin dalla presentazione del disegno di legge, molti medici erano stati chiari: con un testo del genere si rischia di ostacolare invece che favorire la nascita di nuove vite. E, infatti, a due anni dalla sua entrata in vigore, dopo la tanta sofferenza testimoniata attraverso i media da centinaia di aspiranti genitori, anche i numeri arrivano a dar loro ragione. Mentre si continua ad aspettare la revisione delle linee guida promessa dal ministro alla Salute Livia Turco.

di Lidia Campagnano

E’ commovente il fatto che la manifestazione contro la violenza sessuata (la violenza del genere maschile contro le donne), prevista a Roma per sabato 24 novembre sia stata lanciata dalle giovani. A commuovere è il fatto che, in tempi di politica dal fiato corto e dai ritmi e dalle agende mutuate dal mercato, ci sia chi si propone una rivoluzione. Perché di questo si tratta. Stupri e botte, torture e morte inflitti da uomini a donne costellano la storia dell’umanità, certamente con pause e recrudescenze, speranze di progresso e arretramenti, ma mai avviandosi alla sparizione, quantomeno come proposito, speranza, programma. Perciò dire basta a questo, che costituisce uno stile nei rapporti tra i sessi, significa proporsi di rivoluzionare un orizzonte mai risanato. Le statistiche ci dicono che questa forma di violenza si affianca sul piano quantitativo alle morti sul lavoro e dunque, se le morti sul lavoro sono il marchio dello sfruttamento, le morti da violenza sessuata sono il marchio della convivenza mancata tra uomini e donne, il marchio di una barbarie radicale dalla quale l’umanità non si libera.

di Giovanni Gnazzi

Nove e quindici di un mattino qualsiasi, in un autogrill vicino Arezzo, in una maledetta domenica. Si dice che fosse in corso una rissa tra ultras laziali e bianconeri. Non si sa, nulla è chiaro. Quello che invece è chiaro è che una pattuglia della polizia stradale, che si trova dal lato opposto della carreggiata, in un altro autogrill, a 70 metri di distanza, probabilmente richiamata dalla lite, decide d’intervenire. Lo fa nel modo peggiore. Dapprima correttamente, aziona le sirene, ma subito dopo uno degli agenti decide di esplodere dei colpi di pistola “in aria”, dicono, per “sedare la rissa”. I proiettili, come in numerosi altri casi, invece che andare in aria vanno nel corpo del malcapitato, Gabriele Sandri. Che si trova in un auto la quale, oltre ad essere ad un metro e ottanta o o poco più di altezza e non in aria, secondo le diverse e contrastanti versioni, è ferma o sta lasciando l’autogrill. Dunque: se la rissa è in corso fuori, non si capisce perché i colpi vengono esplosi contro una vettura parcheggiata. Ma quello che più sconcerta è la meccanica degli avvenimenti, cioè la dinamica dell’azione-reazione. Non siamo ancora sicuri che la rissa ci fosse stata (visto che nessuno dei frequentanti dell’autogrill se la ricorda) e, tanto meno, se al momento dell’intervento degli agenti fosse già terminata. Ma in corso o terminata, la domanda che dovrebbe porsi è la seguente: da quale manuale di pubblica sicurezza si evince che le risse si sedano sparando?

di Elena G. Polidori

E’ sconcertante, in queste ore, il silenzio che sta eludendo una riflessione collettiva ben più urgente delle svolte legalitarie e razziste conseguenti al brutale omicidio di Giovanna Reggiani. Mentre le ronde fasciste mettevano in atto la più squallida delle vendette nei quartieri periferici della Capitale, picchiando selvaggiamente quei “diversi da sé” che altra colpa non hanno se non quella di essere dei poveracci alla ricerca spasmodica di una vita migliore, altre due donne venivano selvaggiamente brutalizzate in due diverse regioni d’Italia senza che questi atti potessero in alcun modo essere ricondotti a questioni di stampo razziale. A Perugia, una giovanissima studentessa è stata uccisa nella sua stanza da letto, sgozzata probabilmente da qualcuno che lei conosceva bene e al quale, come di prammatica, ha aperto la porta della sua casa. Poche ore prima, a Cagliari, un’altra giovane ha chiesto un passaggio ad un uomo, forse anche quello un amico o forse un semplice conoscente, ed è finita in coma all’ospedale, pestata, violentata e poi gettata dall’auto. Tre donne, in poche ore, che vanno ad allungare il doloroso elenco della violenza sessuale che supera di gran lunga, nei numeri, quello dei morti sul lavoro. ma nessuna convocazione urgente del Consiglio dei Ministri é stata annunciata.

di Sara Nicoli

C’è voluta la brutale aggressione di una donna a Roma ad opera di un delinquente, forse la più crudele degli ultimi tempi, per far alzare al governo il piede dal freno e varare un decreto che rendesse immediatamente operative misure sul fronte della lotta alla criminalità. Che il Decreto sia utile e non risponda invece a pulsioni lo si verificherà. Diciamo subito che la legislazione d’emergenza, come tutte quelle normative che si varano sull’onda dell’emozione di un momento, non ci piacciono. Così come lascia non meno perplessi il grottesco tentativo dei Circoli delle Libertà, capitanati da Michela Vittoria Brambilla, di voler superare il decisionismo del governo, spinto da un sindaco di Roma sempre più premier e meno sindaco, e dichiarare di voler organizzare ronde di accoliti, muniti di torce, telefonini e chissà quant’altro, per “vigilare” su una Capitale che, da ventiquattrore a questa parte, sembra diventata la patria della malavita di stampo rumeno. Se non ci fosse stata l’aggressione di una comune e inerme cittadina ad opera di un rumeno, probabilmente questo decreto che dà ai prefetti la possibilità di espellere dal Paese anche cittadini comunitari per motivi di pubblica sicurezza, sarebbe forse rimasto un disegno di legge destinato a non essere convertito per evidenti motivi di lontananza di vedute tra i diversi partiti della coalizione di maggioranza. Ora si può dire che la caccia all’immigrato, anche comunitario, è ufficialmente aperta. E in modo legale. Senza che il problema di fondo, quello della gestione dei flussi migratori sia quantomeno affrontato, per non dire quello dell’integrazione possibile.


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