di Sara Nicoli

Quella che è ormai una certezza per tutti, adesso ha avuto anche una certificazione dall’alto. A distanza di ventiquattr’ore, prima il governatore della Banca D’Italia, Mario Draghi, poi il presidente di Confindustria, Montezemolo, ci hanno raccontato, dall’alto dei loro scranni e dei loro stipendi, che se noi non riusciamo ad arrivare alla fine del mese la colpa non è solo nostra o dell’euro al quale non ci siamo ancora abituati. E’ che in Italia i salari sono troppo bassi rispetto agli altri paesi dell’Ue. E siccome non abbiamo soldi, non ne spendiamo neppure, così anche l’economia ristagna, i consumi languono e la produttività ne risente. Per non parlare, poi, del precariato giovanile che paga – parole di Draghi – tutto il prezzo della famigerata flessibilità del lavoro. Una situazione che, come si diceva, appare talmente chiara agli italiani medi da far risultare quasi offensivo che, dopo anni, due dei principali protagonisti dell’economia di questo Paese scoprano lo status quo e lo spaccino come un allarme sociale a cui il governo dovrebbe mettere mano immediatamente, ben sapendo che questo, ora come ora, non è possibile.

di Giovanna Pavani

Certe cose si devono vivere sulla propria pelle, altrimenti non le capisci. Puoi anche essere stato povero un tempo, ma poi gli agi della vita da ricco ti fanno dimenticare subito cosa vuol dire non avere nulla in cui sperare, non solo per te ma anche per i tuoi figli. Ci si adatta, per carità, ad avere il portafogli sempre vuoto e a considerare che si può fare a meno di tante cose, talvolta anche dell’essenziale, perché tanto non si ha scelta. Ma non è giusto. A meno che, un giorno, il tuo datore di lavoro, uno con tanta grana in tasca, che va in giro in Mercedes e che spende quello che tu guadagni in un mese solo per gli sfizi, non venga improvvisamente fulminato da un’idea destinata a cambiare la sua vita e anche la tua, che lavori per lui. Capita nelle favole, ma la realtà, talvolta, sorprende. E in positivo. E’ successo in un paesino vicino ad Ascoli Piceno, Campofilone, non meglio noto alle cronache se non per il fatto che lì c’è una fabbrichetta di pasta all’uovo, nulla di particolarmente grande: il fatturato non supera i due milioni di euro.

di Sara Nicoli

“La storia dei contributi diretti e indiretti all’editoria è antica, ma da ieri è possibile per la prima volta andare a spulciare l’elenco dettagliato di chi li riceve e dei relativi stanziamenti”. Era il 4 gennaio del 2006 e solo due quotidiani italiani aprivano un ‘operazione trasparenza sul mondo dell’editoria e sui finanziamenti di Stato ai giornali di partito (ma non solo) destinata, nei mesi immediatamente successivi, a scoperchiare il vaso di pandora della distorsione del mercato della carta stampata. Venivano alla luce sovvenzioni a pioggia, spesso elargite a giornali semiclandestini, attori di un teatrino di inganni ed imposture a discapito del cittadino contribuente. Circa 700 milioni di euro in un anno che finiscono in mille rivoli, sotto forma di contributi diretti o indiretti, nelle tasche di grandi gruppi editoriali così come nelle borse di finti giornali di finti movimenti e di cooperative fasulle, rimpolpando gli utili degli azionisti di grandi testate in attivo e alimentando, in questo modo, una sorta di sottogoverno e di clientele. Una vera e propria rapina di risorse pubbliche, una distorsione del mercato che, tuttavia, fa anche capire la mortificazione in cui versa la stampa italiana costretta, per ragioni di pagnotta dei soliti “amici degli amici”, ad essere grancassa e specchio della “casta” del potere politico.

di Giovanna Pavani

Ancora una volta la Corte di Cassazione sopperisce, con una sentenza, all'inettitudine della politica. E riaccende le polemiche su un tema, quello del testamento biologico, colpevolmente lasciato cadere nelle aule parlamentari per manifesta volontà di insabbiamento. Il caso di Eluana Englaro – la ragazza in coma vegetativo da 15 anni e il cui padre chiede inutilmente da anni di poter interrompere l'alimentazione forzata in modo legale – è riemerso dalle nebbie del Palazzaccio con una sentenza dura, che tuttavia è velata di un'attenzione all'umanità e alla dignità della persona. Tutti concetti assenti, invece, in quella classe politica che dovrebbe dare risposte sui grandi temi che interessano alle persone. Ma non lo fa. Per paura del Vaticano. Che ieri, con puntualità svizzera, ha voluto ribadire che l'Italia non è affatto uno Stato laico. E che, anzi, i giudici della Cassazione, si dovrebbero vergognare per aver emesso una “sentenza indegna, inaccettabile, che orienta il legislatore verso l'eutanasia” e che dimostra, se ce ne fosse bisogno, in quale “vuoto di valori” sia caduto il Paese. “Attribuire a ognuno una potestà indeterminata sulla propria esistenza – si legge nella nota dell' Osservatore Romano - avrebbe conseguenze inimmaginabili”. Su che cosa? Sulla perdita del loro potere temporale? Il problema, a ben guardare, sembra essere solo questo.

di Alessandro Iacuelli

Si riaccendono i riflettori, dopo oltre dieci anni, sull'inchiesta riguardante il nucleare in Basilicata. L'attuale titolare dell'inchiesta, il pm della DDA Francesco Basentini, ha fatto notificare dieci avvisi di garanzia. Rispettivamente a due esponenti della 'ndrangheta e ad altre 8 persone che, tra gli anni '80 e '90, hanno avuto incarichi dirigenziali presso il centro Enea di Rotondella, in provincia di Matera, dove ha operato in passato l’impianto Itrec per il ciclo nucleare uranio-torio. L'inchiesta ipotizza una produzione clandestina ed un traffico di plutonio, presumibilmente con Paesi esteri, ma anche la mancata custodia di materiali radioattivi. L'indagine sul nucleare in Lucania fu aperta a metà degli '90 dall'allora procuratore di Matera, Nicola Maria Pace, che dal 1999 è procuratore capo a Trieste. La titolarità dell'inchiesta fu assunta dal procuratore di Potenza, Giuseppe Galante, che nei mesi scorsi si è lasciato decadere per le note vicende dell'inchiesta "Toghe lucane". La vicenda presenta zone d'ombra mai chiarite, ad esempio, prima degli anni '80 si è spesso indagato sulla presunta presenza di tecnici iracheni al centro della Trisaia.


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