di Alessandro Iacuelli


La Corte di giustizia europea ha condannato l'Italia per l'inceneritore di Brescia, gestito dalla municipalizzata ASM. La causa è il mancato eseguimento della Valutazione d'Impatto Ambientale (VIA) prima dell'attivazione nel dicembre 2003 della cosiddetta "terza linea". La VIA è stata realizzata sì, ma solo retroattivamente nel 2004, quindi con l'impianto già realizzato e funzionante e solo dopo l'intervento della Commissione europea. Condanna anche per la mancata pubblicazione della comunicazione di inizio attività della stessa terza linea. I giudici hanno ribadito che i cittadini devono essere sempre informati in merito alle domande di nuove autorizzazioni per gli inceneritori "al fine di consentire al pubblico di esprimere le proprie osservazioni prima della decisione dell'autorità competente", si legge nel testo della sentenza. I giudici europei quindi sottolineano che non sono state rispettate le normative comunitarie per non aver sottoposto alla valutazione d'impatto ambientale il progetto di terza linea e, per la prima volta, per non aver permesso all'opinione pubblica di esprimere le proprie osservazioni. Un precedente importante, per il futuro, in tutti quei luoghi ove le scelte che condizionano il futuro di una comunità vengono prese senza che i cittadini vengano interpellati.

di Alessandro Iacuelli

Gli illeciti ambientali nel settore dei rifiuti tossico-nocivi sbarcano di prepotenza, in tutta la loro drammaticità, anche in Emilia Romagna. Ad entrare in azione è stata stavolta la Procura della Repubblica presso il tribunale di Bologna, con 5 ordinanze di custodia cautelare, 11 decreti di sequestro per altrettante società e 15 decreti di perquisizione. In totale sono 47 le persone coinvolte nell'inchiesta condotta dal pm bolognese Antonio Guastapane. Duecento i carabinieri impegnati fra Emilia Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Lombardia e Toscana. L'operazione, denominata "Pseudocompost", ha portato alla luce un giro d'affari di otto milioni di euro. L'indagine è partita da alcuni accertamenti sulla Sineco, società di smaltimento di rifiuti industriali, anche tossici, con sede a Castenaso, alle porte di Bologna. Ad avviare l'attività illecita sarebbe stato il titolare che, anziché smaltire regolarmente le scorie, con costi elevati, le avrebbe destinate illegalmente ad attività di recupero, molto meno onerose e con sorprendenti nuovi guadagni: ai costi di messa in sicurezza dei rifiuti smaltiti, ha sostituito gli introiti dovuti alla vendita di quegli stessi rifiuti come fertilizzanti. I rifiuti sarebbero così finiti in altri impianti di compostaggio, fra Castel S.Pietro, sempre a Bologna, e le province di Ferrara e Pavia.

di Sara Nicoli

Parità, dignità, laicità. Principi che qualunque Stato democratico dovrebbe dare per scontati. Ma in Italia no. In Italia si vacilla. Tant’è che ieri si sono ritrovati in piazza migliaia di coloratissimi gay, lesbiche, omosessuali, ma anche tantissimi giovani e meno giovani, uomini e donne idealmente uniti in una battaglia di civiltà, quella per la laicità dello Stato. Se si è arrivati al punto di delegare alle piazze, variamente orientate, la difesa di un principio fondante della democrazia, se si è arrivati al momento in cui la difesa dei diritti degli omosessuali è diventata una battaglia di tutti. Perché il loro isolamento politico corrisponde a quello di tutti gli altri cittadini, allora si può ritenere di aver superato la soglia del dibattito politico e di essere sprofondati in una vera e propria emergenza democratica. Conta assai poco, anzi appare quasi ridicola, la partecipazione alla battaglia della laicità innestata nel “Gay Pride” di alcuni ministri di questo traballante esecutivo. Imbarazzante sentire le dichiarazioni contro l’ingerenza clericale nella legislazione dello stato laico da parte di chi dovrebbe essere il primo difensore dei principi democratici senza pavidità ed esitazioni, puntualmente rispolverate in Parlamento in nome di equilibrismi politici che se ne infischiano bellamente delle necessità reali dei cittadini, prima su tutte l’uguaglianza dei diritti.

di Alessandro Iacuelli

I dati numerici parlano chiaro: in tutta l'Europa, vengono emessi in atmosfera 800 grammi di diossina all'anno. Di questi, 71 provengono dall'impianto ILVA di Taranto: l'8,8 per cento del totale europeo e il 30,6 per cento di quello italiano. Dati noti dal 30 marzo scorso, ma da allora ad oggi non è cambiato nulla. Anzi. Taranto muore, e muore soffrendo. Muore per la diossina proveniente da uno stabilimento che, secondo le normative europee, non potrebbe emettere quel che emette quotidianamente dai suoi camini. Invece in Italia può farlo, e con tanto di autorizzazioni speciali in deroga alle norme vigenti: emette diossine centomila volte più di un inceneritore, autorizzata a farlo. Come è possibile che esista un simile impianto? Esiste grazie ad un ricatto molto preciso: quello del lavoro. In passato si è scelto di esporre la popolazione ad un enorme rischio sanitario, destinato a peggiorare progressivamente ed inesorabilmente negli anni, in cambio di 4.000 posti di lavoro e di uno sviluppo industriale che viene reputato l'unica strada percorribile.

di Alessandro Iacuelli

Sono state circa duecento le unità del Corpo forestale dello Stato impegnate nell’Operazione Girotondo, un maxi blitz avvenuto dopo lunghe indagini, che ha portato alla luce nel Viterbese un imponente traffico illegale di rifiuti speciali, molto più ampio rispetto a quello che di recente ha visto protagonista il comune di Montefiascone. Sono sei le misure cautelari a carico degli indagati, di cui tre sottoposti agli arresti domiciliari e altri tre all’obbligo di firma. Il reato contestato è la violazione delle normative sullo smaltimento dei rifiuti. Nel corso dell’operazione sono state eseguite trenta perquisizioni in sette regioni quali Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Lazio e Calabria, verso persone coinvolte nel traffico dei rifiuti. Inoltre sono stati sequestrati un impianto industriale a Graffignano (Vt), gli uffici toscani, laziali e umbri di quattro società, nonché una cava di cento ettari di terreno dove sono state interrate circa 3.500 tonnellate di rifiuti nel corso di un solo mese, e si sospetta la presenza di circa 40.000 tonnellate interrate in un anno.


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